Ogni giorno il cameriere nuovo venuto dall’Abruzzo vedeva arrivare il vecchio signore che si sedeva al tavolino del Caffè per restarci praticamente tutto il giorno. I camerieri più anziani gli avevano spiegato che si trattava di uno scrittore d’altri tempi, un tipo curioso ma innocuo, da trattare con riguardo per volere del principale e al quale bisognava servire buone colazioni, spesso offerte da qualcuno. Il vecchio Poeta aveva due postazioni: d’estate stava all’aperto, a sinistra dell’ingresso, d’inverno si rifugiava all’interno, occupando il primo tavolino vicino al bancone. L’abbigliamento restava invariato: cappotto e sciarpa tutto l’anno, anche in agosto, per via di una certa malattia reumatica che lo affliggeva.
Chissà perché il dottor Flaiano lo aveva soprannominato “il più grande poeta morente”, pensò il cameriere.
A lui, quel vecchio dallo sguardo ironico e mansueto gli faceva tenerezza, e il lampo che ogni tanto gli illuminava gli occhi non sembrava proprio quello di uno che sta rendendo l’anima a Dio.
Il ragazzo lo aveva osservato bene mentre gli serviva cappuccino e brioches calde: un uomo ridotto male, segnato da una povertà antica, eppure se ne stava beato lì, in via Veneto, coccolato dal commendatore Alberti, il proprietario del Caffè, e attorniato da amici, scrittori, sceneggiatori e registi che ridevano deliziati dalle sue battute argute.
Da qualche tempo arrivava su una sedia a rotelle, sospinta dal portiere dello stabile in cui abitava, poco distante da lì.
Ormai non camminava quasi più, ma non ci pensava proprio a restarsene a letto, la sua casa erano quel Caffè e quella via, un salotto a cielo aperto, dall’aria colta e pulita.
Quella mattina, però, non s’era visto: il ragazzo aveva “piantonato” il tavolino del Poeta per paura che qualche avventore lo occupasse prima di lui, cosa che contrariava parecchio lo scrittore. In quei casi alzava il bastone come a voler puntare l’incauto occupante, per poi lasciarlo cadere, quasi esausto per lo sforzo di contenere il disappunto.
È inutile che lo aspetti, l’hanno portato al Policlinico, gli disse il capo cameriere passandogli accanto con un vassoio carico di vermut.
Come, al Policlinico? farfugliò il giovane, e subito una strana tristezza si impadronì di lui.
Chissà se gli daranno il caffellatte, pensò, l’idea di quel povero vecchio da solo in ospedale lo atterriva. Domenica aveva la mattinata libera, sarebbe andato a trovarlo, gli avrebbe portato una bella brioche e i saluti di tutti.
Con la coda dell’occhio vide la coppia di turisti dirigersi verso il tavolino estivo del Poeta. Con fare fulmineo li bloccò, “Per di qua, please” disse, pronunciando l’unica parola inglese che aveva imparato da poco.
Tornò indietro, tolse la tovaglietta e rovesciò la sedia sul tavolo.
Spero proprio che il dottor Flaiano si sbagli, pensò, ma non ci credeva neanche lui.
Bibliografia:
Vincenzo Cardarelli, Opere, I Meridiani, Mondadori
Ennio Flaiano, La solitudine del satiro, Adelphi