Possiamo scrivere le nostre storie con differenti registri (elevato, familiare, colloquiale, medio ecc.), con diversi stili, con diverse rappresentazioni. Vediamone qualcuno/a, giusto per intendersi.
Uno stile elevato è tipicamente quello di Manzoni dei Promessi Sposi. Mentre possiamo dire che Pasolini, nei suoi romanzi sulle borgate romane (Ragazzi di vita, Una vita violenta) adoperava un registro popolare: dialettale per i dialoghi e diciamo quasi medio nel discorso indiretto libero. Quel quasi perché in realtà ogni tanto il dialetto, nei romanzi di Pasolini, compare anche nel discorso indiretto. Ma gli esempi che si potrebbero fare sono molti, di scrittori che hanno usato il registro popolare nei loro romanzi e racconti: dal Verga a Saviano, da Camilleri a Pratolini ecc.
Tipica del romanzo, e del romanzo realistico, è la rappresentazione che diamo della realtà che raccontiamo. Che può essere – la rappresentazione – diretta/mimetica quando riproduce esattamente, in modo cinematografico, la scena che ci scorre davanti agli occhi. Questo tipo di rappresentazione è solo in apparenza più facile di quella indiretta, evocativa, straniata ecc. In realtà ogni rappresentazione ha le sue difficoltà per chi scrive, molto dipende dalla propria inclinazione e anche, diciamo così, dal proprio gusto, o se vogliamo dirlo in modo più raffinato, dalla propria “poetica”. Più la rappresentazione è mimetica, tanto più ci avviciniamo alla poetica, cioè alla cifra, del naturalismo. Il realismo e il naturalismo, come abbiamo detto molte volte, sono cose differenti e non vanno assolutamente confuse: il realismo, rispetto al naturalismo, è meno vincolato dalla causalità (rapporto causa/effetto). Possiamo parlare di un “realismo critico” intendendo con ciò che si allontana dal naturalismo e ha scopo anche di “criticare” la società che racconta, non solo di rappresentarla.
Parliamo di prosa paratattica quando ci serviamo di periodi assai brevi chiusi da punti. Più precisamente si ha quando le proposizioni, sintatticamente indipendenti l’una dall’altra, si susseguono in forma coordinata formando un periodo composto. Si ha invece l’ipotassi quando si costruisce il periodo in modo articolato, con subordinate e incisi, e lo chiameremo un “periodo complesso”. Per esempio, la prosa di Proust si può definire ipotattica, mentre tipicamente la prosa di Hemingway, o di Carver, è paratattica.
Parliamo di stile nominale o nominalistico, quando tendiamo a rinunciare ai verbi e invece usiamo molti nomi, appunto, sostantivi. Questo succede in diversi casi.
1) Nelle espressioni di saluto e negli ordini: Buonasera (sottinteso ti auguro); Zitto (sottinteso stai)
2) Nei titoli dei giornali: Ancora forti tensioni in Medio Oriente, Gli italiani alle urne. (sottinteso vanno); Ad ovest niente di nuovo (sottinteso non succede)
3) Nella pubblicità: L’aranciata d’arancia. Libri, vitamine per la mente. Olio Cuore. Solo dal cuore del mais.
4) Nei cartelli informativi: “Attenti al cane”, “Divieto di transito”, “Strada bagnata”.
Le frasi che abbiamo scritto sono esempi di stile nominale. Quindi possiamo scegliere se dire: a casa è tutto tranquillo oppure omettere il verbo e scrivere a casa tutto tranquillo.
Il discorso diretto si ha nel dialogo; per esempio: “Domani parto”, disse lui. Abbiamo invece il discorso libero indiretto (certi lo chiamano “indiretto libero”) quando eliminiamo le virgolette e scriviamo per es.: “Egli disse che voleva partire”, cioè il parlato viene inglobato nel periodo e diventa indiretto.
Si chiama colloquiale quel genere di stile che è proprio della conversazione, e in particolare della conversazione familiare: una lettera scritta in forma colloquiale (cioè conversativo, familiare, informale, comune, quotidiano).
Alla prossima, amici, – fate una cosa, provate per esercizio, a scrivere una scena narrativa – quella che preferite, in cui fate uso di un registro popolare e colloquiale: una scena colorita al mercato, una cena fra amici, una lite fra due automobilisti per uno scontro in mezzo al traffico… Buona settimana.