Scrivere di lei è quasi come mettere un messaggio in bottiglia. Speri che qualcuno lo trovi, ma ti vergogni quasi che qualcuno possa leggere le tue parole. Perché che altro si può dire di questo genio narrativo universale?
L’ho sentita definire sempre “unica scrittrice afroamericana ad aver avuto il Nobel”, eppure io rifuggo sempre dalle definizioni, perché, se è vero che ci identificano e ci danno il vestito con cui camminiamo nel mondo, in fondo un poco ci limitano. Certo se Toni Morrison non avesse avuto una nonna ex schiava e non fosse vissuta in un mondo di segregazione razziale brutale, e poi sottile e perversa ma ancora attuale, non sarebbe stata lei. Insomma, uno scrittore si presenta al mondo con tutto il suo bagaglio di vita e se non avesse avuto quella biografia non avrebbe scritto quello che ha scritto.
Bene, Toni Morrison è una scrittrice afroamericana perché i suoi libri hanno una forte componente di dolore razziale, di contrapposizione con il mondo dei bianchi, visto sempre dagli occhi dei neri. Da lettrice che l’ha amata immensamente, e poi da persona che prova a scrivere, posso dire che lei è quello che ogni scrittore degno di questo nome è: qualcuno che vede il mondo in un suo modo personale ma è in grado di trasmetterlo ad altri. Il suo modo di narrare il mondo non rimane ancorato alla pagina, ma attraversa le differenze di lingua, di vita, di colore, di epoca e di storia, e cambia chi ha la fortuna di leggerla.
Non posso dimenticare di aver visto il tramonto con altri occhi, quando in Jazz, il primo dei suoi libri che ho letto, ho sentito la musica di queste parole “ho visto cieli diventare viola serbando un cuore color arancia”. Queste parole sono entrate nel mio modo di narrare, e quando le assaporo sento i colori dispiegarsi davanti agli occhi interiori che mi servono per scrivere. Questo è quello che fa Toni Morrison con le parole, te le sussurra all’orecchio, come se tu fossi speciale, e avesse creato quella bellezza estrema solo perché anche tu potessi goderne.
Jazz è un libro corale, ambientato nella Harlem del 1926, ed è la storia crudele di un omicidio d’amore. Una donna viene uccisa dal suo amante e da questa tragedia i protagonisti, lui, lei, la moglie di lui, raccontano le vicende che li hanno avvicinati, e portati al doloroso epilogo. Eppure c’è una storia più sotterranea, nascosta, che si accompagna ai locali fumosi frequentati da neri. Ed è la storia raccontata dalla città stessa, la storia che prende corpo, ed è un’entità diversa da quella dei protagonisti, perché in ogni storia c’è sempre un margine di segreto, che la storia svela solo ad occhi attenti.
Il successo era arrivato tardi per lei, a quasi 40 anni, con L’occhio più azzurro, la vicenda drammatica di due bambine, in cui una desidera solo diventare bianca, e l’altra è ben consapevole della sua identità di nera, sapendo che se lei non può permettersi di comprare maglioncini dai dolci colori dei lecca lecca è perché i bianchi sfruttano e sottopagano i neri. Ognuno si costruisce muri dentro cui tenersi al sicuro. Così c’è una mamma dalla pelle chiara, ma non bianca, che insegna alla sua bambina che esistono i negri, avidi, dai labbroni sporgenti, sporchi e cenciosi, e le persone di colore, che sicuramente meritano un posto a sedere accanto ai bianchi, perché sono puliti e istruiti e perbene. Peccato che ai bianchi non interessi affatto questa distinzione, perché per loro ogni sfumatura di colore di pelle, dalla mandorla, alla cannella, al cioccolato fondente, caratterizzi le persone come nere e basta, e perciò solo inferiori.
Il desiderio di condurre esistenze più agiate è una tematica che è ripercorsa anche nel libro L’isola delle illusioni, in cui c’è una ragazzina nera, Jade, talmente bella da diventare una modella, che, cresciuta nella cultura e nell’agiatezza dei bianchi, non riesce ad adattarsi al suo uomo nero, che quella cultura di sopraffazione non la tollera. Jade non è bianca, ma si comporta come lo fosse, e per la gente nera lei è una nota dissonante, una straniera ovunque.
È questo dunque che fanno i bianchi, ti danno delle possibilità ma solo per degnazione, frutto non dell’eguaglianza, come sarebbe naturale, ma di una contorta forma di generosità che vuole far sentire sempre in debito chi la riceve.
Dalle narrazioni successive, i bianchi cessano di avere importanza, restando talvolta sullo sfondo, identificati come uomini senza pelle, cioè incapaci di rendersi conto dei confini naturali tra i corpi.
Canto di Salomone è un romanzo di formazione in cui il protagonista, Milkman, cerca le radici della sua famiglia, attraverso le storie e le leggende dei neri, tramandate attraverso le tradizioni orali. Il Salomone dei neri è un uomo capace di volare, e di fuggire così oltre le catene della schiavitù.
La condizione della donna nera, viene riproposto in Sula, forse il suo romanzo più politico, in cui la scrittrice si interroga su quale sia il posto delle donne, se davvero sia possibile per una donna, e in particolare una donna nera, condurre un’esistenza corrispondente ai suoi desideri, oppure se scegliere di non sposarsi e di non avere figli possa portare alla pazzia e al discredito sociale. La parte più nascosta del libro è che le protagoniste, Sula e Nel, vogliono una la vita dell’altra, e forse sono solo aspetti delle varie personalità dello stesso corpo. Perché è questo il dramma: l’arsura che con sé porta una scelta, le vite che non possiamo vivere, quando decidiamo di viverne soltanto una.
L’amicizia femminile è di nuovo narrata in Amore e Paradiso, dove alla sopraffazione degli uomini tiene testa il sentimento complesso del rapporto tra donne che si sostengono a vicenda.
Un posto a parte merita Amatissima, il suo romanzo più noto, tratto dalla storia vera di una schiava in fuga per la libertà che, al sopraggiungere degli schiavisti che la stanno per catturare, uccide la sua bambina, piuttosto che consegnarla a una vita da schiava. Le leggende sulla vicenda sono molteplici, ma Toni le rivisita tutte, nel tentativo, meraviglioso e perfetto, non di far capire al mondo le ragioni di un madre, ma di dare un’altra possibilità a quella vita e a quella morte. Così nel romanzo, quando ormai la guerra di Secessione è finita e la schiavitù abolita, la bambina ritorna, piena di rabbia verso la madre e la sorellina minore, decisa a farla pagare a chi non l’ha amata e protetta abbastanza. Il ritorno però non è quello di una neonata, ma quella dell’adolescente che sarebbe stata se fosse vissuta, decisa ad inghiottire l’aria che le era stata negata, e a lasciare traccia di sé nel mondo che non ha mai potuto conoscere davvero. I legami familiari complicati si intrecciano, destinati a sfaldarsi e poi a ricomporsi, quando finalmente, la bambina che non aveva un nome, lascia andare l’odio, perché “non mi serve più”. Resta Amatissima. Il nome che sua madre ha fatto incidere sulla lapide.
Così, con un poco di commozione, Toni mia, spero che nel mondo fluttuante, tu sappia che un’oscura ragazzina dalla pelle color mela sbucciata ti ha adorato, e che le tue parole hanno seminato sentieri di luce, e hanno migliorato ogni giornata in cui ti ho letto.
Da Jazz:
Ho amato solo te, concedendo irrimediabilmente ogni parte di me solo a te. E voglio che anche tu mi ami e me lo dimostri. E amo il modo in cui mi tieni tra le tue braccia, stringendomi forte. Amo le tue dita, le amo quando mi sfiorano, quando mi toccano. Ho guardato il tuo volto per molto tempo, e da quando non sei più qui i tuoi occhi mi mancano tanto. Parlare con te e sentire quello che dici-ah che emozione.
Foto di Laurel Maryland