Serena Venditto è una giallista affermata, tanto che ormai in copertina il suo nome viene stampato più grande del titolo del romanzo. Sviluppa le sue storie con un occhio a Sherlock Holmes, uno ai gatti e uno a Napoli. Vi potreste chiedere quanti occhi abbia, ma in realtà una brava autrice come lei ne deve avere parecchi per portare a termine con abilità e divertimento i suoi intrecci di enigmi in salsa felina. Sulla quarta di copertina del suo ultimo romanzo, Sette vite come i libri (Il Giallo Mondadori, Mondadori 2025), compare una frase che è una dichiarazione d’intenti: «Non è vero che non credo in niente. Credo nel caffè, nel paracetamolo e in sir Arthur Conan Doyle.» Quando esce un suo nuovo libro me ne approprio sempre volentieri, perché ha la capacità d’inserire i suoi delitti in un’atmosfera che rende la lettura decisamente piacevole. Qui c’è un’idea molto suggestiva: le pagine di un libro, scovato in una piccola libreria napoletana dell’usato, la Second Chance, sono macchiate di sangue fresco, ce n’è abbastanza per far cominciare la storia, no? E allora, facciamoci dire da Venditto come ha lavorato alla sua nuova avventura.
Tornano i protagonisti dei tuoi romanzi precedenti, riesci sempre facilmente a trovare l’ispirazione per scriverli?
Direi di sì, con Malù, gatto Mycroft e compagnia mi sento sempre molto a mio agio, li sento quasi parlare nella testa, anche se non sto scrivendo. Da via Atri 36 non esco mai veramente, quindi girare la chiave e aprire una nuova storia per me non è complicato. Più complicato è strutturare la trama gialla, ovviamente!
È cambiata Malù dal primo romanzo a questo?
Credo sia cambiata lei come sono cambiata io, sono passati più di dieci anni da Aria di neve. Lei è più decisa, più consapevole dei suoi mezzi, ma anche più desiderosa di coinvolgere gli altri nelle sue indagini, di fare squadra. Più emotiva, ma anche più caparbia.
E gli altri personaggi?
Ariel è un pochino meno insicuro, si fa coinvolgere più volentieri nelle indagini. Con Kobe è cambiato molto perché nel primo romanzo giocavo parecchio, troppo, sulla sua gelosia, e invece andando avanti il personaggio ha preso tridimensionalità, è molto più di un caratterista che fa ridere con il suo eloquio sgangherato. E infatti qui gli ho voluto dare una bella lezione e da ora in poi basta con questa stupida gelosia!
Samuel forse è quello che ha subito meno cambiamenti perché è sempre stato quello più solido di tutti, maturo, responsabile.
Mycroft, in quanto gatto, invece, è perfetto così com’è.
Mi pare che, tra gli altri temi, qui si giochi anche con la gelosia, è qualcosa che ti riguarda o sei tipo una svedese?
La gelosia è un sentimento interessante da raccontare, perché, come il giallo, si basa tutto su indizi, sospetti, sguardi. Da scrittrice è stimolante. Ma per quanto mi riguarda non la capisco , è una cosa talmente faticosa…
In questa vicenda si parla anche di un convento e di suore, hai studiato in una scuola cattolica oppure l’ispirazione ti è arrivata da qualche romanzo (mi pare che suore mescolate al crimine ci siano da qualche parte anche in Agatha Christie)?
Ho studiato dalle suore – suor Tommasina è la persona che alla materna, parecchio in anticipo sui tempi, mi ha insegnato a leggere e scrivere, così l’ho omaggiata nel romanzo – anche se la mia maestra delle elementari in realtà era laica. Ma l’ispirazione viene da mia nonna che da piccola mi portava sempre in un convento – il Volto Santo, che in qualche modo è il modello del convento del romanzo – e mi raccontava ogni sera storie di santi, la cosa più sanguinosa che esista. Poi dici che una si appassiona al crime: per forza, vatti a leggere la storia di Santa Rita e dopo Shining ti sembra l’orsacchiotto Gedeone!
I conventi sono posti affascinanti, misteriosi, gotici, irresistibili, prima o poi ero certa che ne avrei parlato.
Come fai a costruire una storia come questa, che va avanti dando indizi al lettore per poi sorprenderlo nel finale? Non mi dire che è normale per tutti i giallisti, raccontami qualcosa in più…
Allora, io avevo in mente il libro insanguinato e il cadavere senza identità. Non sono partita dal finale come al solito, dal modo in cui l’assassino viene scoperto, ma da questi due elementi. Il libro insanguinato e il cadavere senza identità sono come due reperti archeologici che vanno analizzati per comprenderne la storia. E così, immaginandone la storia, immaginando le tracce che la storia aveva lasciato su di loro, li ho delineati, poi li ho collegati fra loro. Questo è forse il romanzo in cui Malù fa di più l’archeologa, ora che ci penso.
Da qui ho immaginato la storia del cadavere senza identità, e ho creato un nuovo collegamento. E così via. Un sistema di cerchi concentrici, come gli anelli di un albero. Non so se è normale, so solo che mi sono divertita. Immaginate qualcosa di simile all’enigmistica!
Poi avevo già, perché era in Grand hotel, un’ambientazione perfetta allo scopo, ovvero una libreria dell’usato, dove i libri possono avere una seconda, terza, quarta occasione di fare felici le persone. Infatti mi sono divertita anche a giocare con i rimandi letterari, che qui potevano essere palesi perché parte delle indagini si svolge lì!
Anche la scelta del libro non è casuale: La donna in bianco è un romanzo che amo, ma mi ha anche consentito di creare rimandi con la storia vera.
Per te sono più importanti i personaggi o le trame?
Dipende dalla storia che sto raccontando. Direi che si devono raccordare bene fra loro, in genere io penso la storia insieme ai personaggi che la devono vivere. La cosa a cui tengo di più in ogni caso è la scrittura, e una buona trama ti aiuta a portarla avanti con naturalezza, secondo me.
All’inizio citi Anna Karenina, poi più avanti spunta un personaggio dal nome russo, non è una coincidenza immagino!
Anna Karenina è uno dei libri che mi ha cambiato la vita, e in un romanzo tutto incentrato sui libri dovevo inserirlo. E poi al viaggio in Russia che abbiamo fatto io e mio marito nel 2019 tengo moltissimo perché è l’ultimo viaggione fatto prima della guerra, del Covid, era un altro mondo.
Tra le tante citazioni che fai appare anche Odore di chiuso di Malvaldi, cosa ti lega a lui?
Siamo amici, o almeno io così vado dicendo! Ci siamo conosciuti a un Salone del Libro di Torino, lui era già abbastanza famoso, ma io senza vergogna mi misi a chiacchierare con lui, e poi ci siamo rivisti in altre occasioni e incredibilmente lui si ricordava di me! Col tempo siamo diventati amici, anche con la moglie, Samantha Bruzzone. Sono fantastici, non solo come scrittori, ma proprio come persone. Quando sono passata in Mondadori è stato il primo a saperlo, pensa, e ha urlato di gioia. Lo invidio parecchio per essere stato l’unico scrittore ospite al Ruggito (del Coniglio, ndr.), ma lo perdono…
Davvero non sopporti la Bohème?
Adoro la Bohème, trovo solo assurdo che Mimì e Rodolfo trascorrano insieme in una gelida soffitta l’inverno per poi lasciarsi in primavera, quando lei ha la tisi. Idioti, per forza lei muore male, fate il contrario, no?