Agatha lasciò cadere la penna sul tavolo e si massaggiò la mano indolenzita. Guardò il foglio, coperto da una scrittura incerta, quasi illeggibile anche per lei.
Disgrafia, aveva sentenziato l’ultimo dei medici consultati da quando erano apparsi i primi sintomi, dolori ai polsi e alle mani, e la quasi impossibilità di tenere una penna in mano.
Agatha, però, non si era persa d’animo: non potendo più scrivere e organizzare il suo lavoro in autonomia, si faceva aiutare per le ricerche necessarie e dettava a voce le sue opere.
Il vero problema erano le pressioni pesanti del suo editore. Secondo le regole ferree di mercato lei era una scrittrice professionista da cui ci di aspettava un libro dietro l’altro, un successo dietro l’altro.
E lei aveva scritto, anche quando non ne aveva voglia o non le piaceva quello che scriveva.
Agatha si alzò dallo scrittoio e si diresse verso la grande boiserie che foderava le pareti della stanza.
Tra gli scaffali cercò con gli occhi Il mistero del treno azzurro. Ricordava come un incubo la stesura di quel romanzo. Era il 1928, l’anno della fine del suo matrimonio con Archibald, sua figlia Rosalind era molto piccola e lei non riusciva a chiudere il libro, distrutta dalla depressione e pressata dai tempi di consegna e dalle sue necessità.
Alla fine, però, il romanzo era stato un grande successo.
Agatha sfilò il libro e lo tenne tra le mani: l’aveva sempre odiato eppure quel treno, sul quale era salita controvoglia, l’aveva portata lontano dal marito infedele, dalle difficoltà economiche e dalla tristezza che l’aveva avvolta per mesi come una nebbia fredda e infida.
Forse era arrivato il momento di volergli un po’ di bene.
Bibliografia:
Agatha Christie, Il mistero del treno azzurro, Mondadori;
Agatha Christie, La mia vita, Mondadori.