La cameriera che mi porta il caffè lancia uno sguardo di straforo verso il letto matrimoniale dove ho disteso l’abito bianco che ho appena tirato fuori dalla valigia.
Le piace? le dico, È un liquiliqui, l’abito tradizionale caraibico. Lo indosserò stasera, mi danno il Nobel.
La cameriera posa il vassoio, accenna un sorriso di cortesia e se ne va, chissà se mi ha capito.
Guardo il liquiliqui: forse ha ragione Mercedes, mia moglie, quando dice che sembra un pigiama.
Abbiamo quasi litigato, ma nessuno riuscirà mai a farmi indossare il frac che, si sa, porta male, come i pavoni, i fiori di plastica e le lumache dietro la porta!
Perché devo rischiare di inciampare sul tappeto, dimenticare il discorso o chissà quale altro accidente? Il liquiliqui andrà benissimo, lo trovo elegante e poi dice chi sono, mi rifiuto di sembrare un pinguino a una parata!
Ho fatto male a ordinare il caffè, è freddo e sbiadito, come questa stanza.
Ho accettato il Nobel per il mio Paese, per la mia gente. Mia madre, all’annuncio, mi ha telefonato:
– Dimmi, Gabito, il Premio Nobel non ti farà cambiare idea, vero?
– Non preoccuparti, Santiaga. Non sono e non sarò mai nessun altro se non uno dei sedici figli del telegrafista di Aracataca.
Bibliografia:
Gabriel García Márquez, La mala ora, Feltrinelli;
Gabriel García Márquez, Nessuno scrive al colonnello, Feltrinelli.