Gaetano Campanile, giornalista presso “La Tribuna” e sceneggiatore di film muti, non riusciva a nascondere la sua preoccupazione per Achille, suo figlio.
Il ragazzino aveva mostrato fin da piccolo una precoce inclinazione letteraria e scriveva componimenti improntati a una certa malinconia.
In seguito, però, forse su suggerimento di qualche insegnante, Achille aveva iniziato a scrivere pezzi umoristici e parodie di opere famose. Ancora studente al Liceo Mamiani, con Rosmunda (1911), tragedia in cinque atti, riscosse un entusiastico successo da parte dei compagni di scuola.
Gaetano e sua moglie avrebbero desiderato per il figlio un futuro da professionista o comunque un posto fisso che gli avrebbe garantito una certa stabilità economica; furono quindi contentissimi quando il giovane Achille si impiegò presso il Ministero della Marina.
L’entusiasmo dei due genitori durò poco. Achille, nel compilare documenti ufficiali, non si atteneva al linguaggio burocratico ma li personalizzava troppo, cosa che gli veniva costantemente rimproverata dai suoi superiori. Altro vezzo del neoassunto era quello di leggere fatti e notizie in chiave umoristica, cosa altrettanto sgradita agli occhi del Capo Ufficio. La carriera statale di Achille si concluse ben presto, e dopo qualche atto tentativo, fallito, di trovare un impiego serio il padre, a malincuore, lo fece entrare a “La Tribuna” come correttore di bozze. Guardava il suo ragazzo dagli occhi vispi che si aggirava per le stanze del giornale e pensava a sua moglie, e ai loro sogni per un figlio dalla vita tranquilla e uno stipendio sicuro.
Ancora non sapeva che Achille sarebbe diventato uno scrittore umoristico tra i più popolari e annoverato nella schiera di scrittori e artisti di successo del calibro di Palazzeschi e Petrolini. Ancora non lo sapeva che avrebbe fatto in tempo a vedere tutto questo.
Bibliografia:
Achille Campanile, Se la luna mi porta fortuna, Treves;
Achille Campanile, Gli asparagi e l’immortalità dell’anima, Rizzoli.