Laboratorio di scrittura creativa per morti viventi: Lezione 10

Un finale, un finalino o la fine?

Nelle lezioni precedenti:

 

Un buon finale

Ritrovarsi sequestrato da un gruppo di zombie non è una grandissima situazione da vivere nella vita ma il problema è che la mia vita, fuori da lì, non è che fosse granché. Insomma, mi guardavo nello specchio rotto tra le due lapidi, nella cappella in cui mi avevano rinchiuso, e mi dicevo: “Ok, questo non ti va bene? Sei sicuro? Perché lì fuori non c’è molto che ti aspetta”.

Ora lo sapete anche voi. Gli zombie sono piuttosto schietti, non parlano mai per metafore e non fanno giri di parole. Non è cattiveria, è che proprio non è nella loro natura. Così, quando ho chiesto a Oronzo: “Pensi che a un certo punto mi libererete?”

Lui ha risposto: “Non lo so, non ci ho mai pensato. Fuori, comunque, si respira aria di rivoluzione… Succedono cose nuove”.

“Mi piacerebbe vederle”, ho detto.

“Lascia stare”, mi ha poggiato le falangi sulla spalla, “potresti essere scambiato per qualcuno cui mangiare il cuore”.

“Ho capito Oronzo, però adesso, astraendoci per un minuto dalla situazione politica attuale e da quella civile, se io ti chiedessi di lasciarmi andare, tu cosa mi risponderesti?”

“Ti direi di no come ti sto già dicendo, che altro dovrei fare? Qualcuno dovrà pur proteggerti”.

“Da chi? Perché?” ho chiesto e mi rendevo conto, mentre glielo chiedevo, che quella domanda includeva un perché più generale che riguardava la società, la rivoluzione, la stessa esistenza dell’uomo. E me. Insomma, era un perché enorme, che non poteva avere risposta. O forse ce l’aveva ma non volevo conoscere la risposta.

E invece Oronzo aveva detto: “Perché tu sei l’unico al mondo che ci è stato a sentire e che ci ha insegnato qualcosa. È molto, sai?”

“Questa è la tua visione. Chiunque avrebbe potuto insegnarvi qualcosa, bastava chiedere probabilmente”.

“Non dire cazzate per favore. Guardati intorno, guarda come parlano di noi. Anzi, come ci guardano. Da te nessuno di noi si è sentito giudicato. Dobbiamo sempre stare attenti a tutto. A non spaventare i bambini, a non sporcare con i pezzi che perdiamo camminando, a non entrare nei negozi quando ci sono clienti che potrebbero avere schifo di noi”.

“In effetti Oronzo”, gli ho detto, “per uno vivo, il vostro odore è proprio difficile da sopportare. So che non ve ne rendete conto ma…”

“Beh, con te non abbiamo mai dovuto stare attenti. E questo fa di te…”

“Un prigioniero?”

“No, coglione. Questo fa di te un nostro fratello. E attenzione perché, mentre per voi un fratello è un fratello per un periodo di tempo finito, per noi un fratello è un fratello per sempre”.

“Però io un giorno morirò” ho fatto notare, un po’ preoccupato per la piega che stava prendendo quel discorso.

“E allora? Di questo abbiamo già parlato, mi pare. Ora però devi proprio perdonarmi”, ha detto guardando l’orologio che aveva appeso al taschino, “ci sono gli exit poll”.

Incredibile, alla fine avevano diviso i dati tra votanti in vita e votanti diversamente vivi. Follia pura, anche perché il dato risultava solo meno leggibile con questa divisione zombiefobica, visto che il voto di uno zombie valeva esattamente come quello di un vivente.

Gli zombie non sono capaci di gesti improvvisi come noi. Non possono saltare per festeggiare, non possono alzare le braccia al cielo all’improvviso, saltarsi addosso. Sono troppo fragili, potrebbero rompersi. Quella sera, dopo la prima proiezione, si erano limitati a emettere ululati e a scambiarsi delle pacche fatte di ossa fradicie. Esprimevano così la propria felicità. Gli exit poll stimavano un 70% per il partito degli zombie e un misero 30 per tutti gli altri. Dati così allarmanti che dalla prima grafica, non compariva più alcuna differenza tra votanti vivi e votanti morti. Qualcuno in regia doveva aver capito che non era il caso.

Quando ormai la vittoria era ormai chiara e schiacciante stava già albeggiando sul cimitero. Tutti gli zombie mormoravano, commentavano, c’era fermento. Oronzo a quel punto era venuto da me e si era seduto sulla lapide su cui ormai sonnecchiavo da ore. Sulle nostre teste giravano tre elicotteri a bassa quota.

“Secondo te, questo è un finale o un finalino?” mi ha chiesto. Era stanco ma felice, si vedeva. Non so bene da cosa ma si vedeva. “O è la fine?” ha aggiunto.

“Dal punto di vista narrativo?” ho chiesto sorridendo.

Lui ha annuito.

“Dipende…”, ho detto, “dipende da cosa stiamo raccontando. Vedi Oronzo, se si tratta della storia di una conquista epocale da parte degli zombie, i nostri protagonisti, allora questo è un finale. Avete vinto, obiettivo raggiunto. Il finalino, in questo caso, sarebbe la mia liberazione e un mondo dominato completamente dagli zombie. Basterebbe una scena del nuovo paradigma come finalino. Una nuova armonia tra vivi e morti viventi”.

“Altrimenti?”

“In che senso Oronzo?”

“Hai detto dipende. Dipende, vuol dire che c’è anche una seconda possibilità”.

“Sì”, ho detto ma ci ho messo un po’ ad andare avanti.

“E allora?”, ha detto Oronzo. Ha poggiato le falangi della mano sinistra sulla mia spalla, “Su, non avere paura”.

Gli zombie sanno leggere benissimo i nostri sentimenti.

“Beh, c’è anche la storia in cui questa notte, questa vittoria, è solo un climax e cioè il momento in cui gli zombie ce la stanno per fare, tutto sembra far credere che in un paio di settimane si possa avere un intero governo di zombie. Poi però avviene ciò che tutti si aspettano che avvenga…”

“E cosa si aspettano tutti?”

“Non so. Per esempio un intervento NATO? Sì, la NATO. Gli alleati spinti dagli USA, il paese col maggior numero di zombie nella popolazione, contro l’Italia rivoluzionaria? Non so… Mi viene in mente una piccola guerra lampo volta a spegnere questa fiammella italica sostenuta dall’Europa. Tutte le potenze occidentali e non”.

“Lo sai che ti dico?” ha detto Oronzo a quel punto. Si è alzato, si è sistemato i vestiti stracciati, “Rifarei tutto quello che ho fatto”.

“Oronzo, me ne posso andare?” ho chiesto.

“Se vuoi sì”, ha risposto ed è tornato a festeggiare con gli altri. Io ho camminato fino al cancello di ingresso del Verano. Fuori, una squadra antisommossa era schierata in attesa che qualcuno uscisse. Ho aspettato un po’, poi mi sono seduto dietro la colonna d’ingresso, da solo. Alle mie spalle gli zombie, davanti a me la polizia in attesa della prima carica. Erano centinaia. Gli zombie che si aggiravano per il cimitero e confabulavano. In cielo, gli elicotteri volteggiavano puntando il muso su tutti noi.

Mi sono sdraiato a terra, sull’erba e ho aspettato che succedesse qualcosa. E per tantissimo tempo, forse erano solo minuti, non è successo niente.

 

 

 

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Massimiliano Ciarrocca

Ex allievo di Paolo Restuccia. Ha pubblicato il libro Pronto France'? (Fazi, 2014), ha collaborato con Liberoveleno e ha scritto lo spettacolo teatrale Buon Natale, la trilogia del livore. Ha recentemente realizzato il podcast Apocalips Bau in collaborazione con Filosofia Coatta e Genius. Insegna in diversi laboratori creativi.

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