Il giornalista, un ragazzo simpatico, se n’era andato da un po’: era rimasto quasi tutto il pomeriggio e ora Ray Bradbury si sentiva molto stanco. L’intervista era durata più del previsto, e lui ne aveva raccontate di cose: ottantotto anni, mai presa la patente, nessun amore per i cellulari. “Cosa pensa di Internet?” “È poco interessante”, aveva risposto, “e sta rovinando i rapporti interpersonali”.
Anche tutte quelle storie sulla fantascienza, lui aveva scritto un solo racconto di quel genere, Farenheit 451, tutto il resto della sua opera era fantasy, semmai.
Quando Ray aveva trent’anni, era appena uscito Cronache marziane e Aldous Huxley lo aveva invitato per un tè.
“Mister Bradbury”, aveva esclamato all’improvviso, “lei è un poeta e non uno scrittore di fantascienza. Lei è uno scrittore di metafore e di poesia!”
Ecco cosa sono, borbottò tra sé, io scrivo metafore e, a parte Huxley, nessuno l’ha capito.
Con il ragazzo simpatico avevano parlato anche della sua memoria prodigiosa, una cosa rarissima. Aveva scoperto di essere nato a dieci mesi e non nove, un dato che sembrava avesse fatto una grande differenza. Del resto, Ray aveva memoria di molte altre cose fin dall’inizio. Per esempio, ricordava di aver visto Il Gobbo di Notre Dame quando aveva tre anni e ricordava nettamente che fu proprio allora che decise di scrivere, anche se poi aveva iniziato a farlo anni dopo.
“Sono la totale memoria di tutto quello che ho amato”, pensò.
“Chissà che titolo sceglieranno per l’intervista, avrebbe potuto chiedermelo. ‘Lo scrittore di fantasy che ha amato moltissimo’ sarebbe stato perfetto”.
Bibliografia:
Ray Bradbury, Cronache marziane, Mondadori;
Ray Bradbury, Cento racconti, Mondadori.