Nelle puntate precedenti:
TERZA PARTE
Mi viene tolto finalmente il cappuccio. Sbatto gli occhi, vedo un’ enorme piazza. Grida, orrore, gioia, panico. Migliaia di persone in piedi. Enormi schermi in cui si vede il mio tronco senza gli arti mutilati e la pancia sanguinante. Times Square.
Il cielo è scuro.
Sono in alto, più in alto della gente, legato collo e vita a un grosso palo, veicoli a mezz’aria mi puntano una dozzina di telecamere. Mi guardo intorno.
Ci siamo.
Senza braccia e gambe, guardo la pancia. Gocciola. Una goccia alla volta esce sangue. Alzo lo sguardo. Mi schiarisco la gola, intorno alla corda che mi lega è adattato il microfono che hanno inserito, la lucina è verde, è attivo. La mia voce risuona nella piazza che si silenzia:
– Ricordo quando iniziai. Quando intuii che alle persone non bastava mangiare, volevano sempre di pù. Oggi, all’alba del nuovo anno 2098, il mio ultimo show cooking, è il mio capolavoro, la prova che ho sempre avuto ragione.
Ve lo dico io, che siete uguali a me, tutti. Se vi chiedete perché sia vivo in questo stato o perché non senta dolore è per via di un cocktail di farmaci. Non sento niente. Come voi. Non sento nulla. Ma sento che siamo tutti sul baratro di un destino comune e io voglio alleviare il vostro dolore.
Mutilare, elaborare e mostrare in pubblico. Per decenni. Prima gli animali, le piante, i fiori, poi i nostri simili.
È iniziato tutto con il manipolare il cibo per dare un senso, per colorare il grigio del quotidiano, per far rumore nel silenzio che ci svuota lo stomaco.
Per chi ha vissuto come me, ricordate i social network? Il feticcio alimentare? L’ossessione per il cibo? Il food porn? Sento ancora le mandibole fremere non di fame, ma di desiderio, di morbosità. Ho visto crescere il potere di cuochi e colleghi, sono stato tra i primi poco meno di 100 anni fa a dar via a tutto questo.
Quanti anni ho? 114, e questo è il mio capolavoro.
Quando ne avevo 38, forse 39, capii il dolore. Non il mio, il vostro, quello dei vostri genitori.
Guardo tra la gente. La mia voce rimbomba, tutti gli occhi sono puntati. Nessuno si muove. Il cielo resta scuro mentre il tempo sembra essersi fermato, per me. Sono in mondovisione.
– Volevo cambiare qualcosa, volevo dare un senso allo sfruttamento del cibo, volevo dire “vedete, il cibo può essere salvato dalla letteratura”. Ma ci presi la mano. Il vostro vuoto catturò il mio vuoto senza fondo. Mi prese tutto, l’ego, il successo, divenne una droga, la mia droga. Voi volevate di più, mangiare era superfluo, volevate lo show.
Fui il primo a proporre gelato abbinato a esseri umani. Il successo di quel progetto, quello del gusto, come si chiamava? Club del Gusto? Fu l’inizio.
Cominciai proponendo dimostrazioni live, durante cene nella grande sala dell’antico Palazzo. Il successo arrivò in qualche mese. Il tempo cambiava il mondo alla velocità della luce. I cuochi, ma non solo, anche i pasticceri i gelatieri i macellai diventarono più potenti dei politici, diventammo la categoria protetta, avevamo seguaci e avevamo il potere.
Dopo gli insetti, acconsentimmo a far provare cibo umano. Sceglievamo senza dimora, anziani soli, persone morenti consenzienti all’eutanasia. Divenne legale quando iniziarono a scarseggiare le materie prime, quando ci accorgemmo che la carne sintetica generava tumori e ischemie, malattie. Dimezzammo in pochi decenni la popolazione per cercare di non mangiare animali.
E finimmo con il nutrirci di nostri simili. Il primo show cooking al mondo con carne umana fu il mio. Lo sapete. Al Palazzo del Freddo. Vennero repressi i dissidenti, ero in mondovisione come oggi, non sono mai più riuscito a eguagliare quell’impatto su di voi, sui media. Fino a oggi.
Ora mi viene da ridere. Gli stessi che provarono un tempo a sabotarmi, oggi sono miei adepti. E mi hanno aiutato a finire qui oggi. Fingendo il rapimento, comunicando che avrebbero comunicato qui a Times Square che fine avessi fatto e perché. Non vi chiedete perché la polizia non è intervenuta? Perché il cibo, chi manipola il cibo, vince. E nessuno sa farlo meglio di me.
Rido. Rido di gusto, come non ridevo da decenni. Faccio un cenno alla mia destra, sul piccolo palco da dove parte il palo cui sono appeso, al giovane in felpa nera.
– Taglia.
Il giovane sale su una scala, recide con un grosso laser lo sterno, apre la gabbia toracica con due tronchesi estratte tra la cintura e i pantaloni. Il mio grosso cuore per un terzo rosso purpureo e per due terzi nero della necrosi dell’età si presenta al mondo.
– Cuore magro di Chef morente a te, mondo.
Altri due uomini in felpa salgono fino alla pedana, si arrampicano. Uno dei due ha un piatto verde acqua. Steso sul coccio c’è un letto di patate viola, erbe e fiori. L’altro ha in mano due piccoli vasetti con spezie e le ossa dei miei arti lavorate alla perfezione.
Ho studiato che anche sotto effetto del cocktail di medicinali, un essere vivente senza cuore può vivere oggi venticinque secondi. Inspiro.
– Strappate!
Sento il sussulto del mondo, il respiro del pianeta bloccarsi e gridare, vomitare, spaventarsi, godere, piangere e ridere, capire, non capire. Ma tutti, occhi e anime sono sazi, pieni.
Le felpe nere tagliano vene, arterie, muscoli. Strappano il mio cuore dalla sua nicchia e lo adagiano sul piatto tra le ossa spaccate, poi lo spolverano di spezie. Il nero scuro brilla come il rosso, il sangue cola sui fiori, cauterizzano le mie arterie dopo che il sangue schizza telecamere e felpe nere, i cameraman puntano il piatto, io non servo più. Sparisco dagli schermi, l’attenzione è all’apice, è al cuore.
– Questo è show cooking signori e signori, nessuno potrà mai fare meglio di me, colmare le vostre anime più di così non sarà possibile, non vi resta che sopravvivere al vuoto. Ma adesso saziate l’anima e godetene, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per lo show!
Fine