La luce del tramonto aveva avvolto tutto in una nuvola di polvere d’oro.
Omar Khayyam sedeva in terra, appoggiato a un muro sbrecciato, vicino a sé un manoscritto che voleva finire di leggere.
Un altro giorno era trascorso: gli amici erano appena usciti dalla sua casa, portandosi via l’eco delle risate e delle voci rese allegre dal vino.
Khayyam chiuse gli occhi per trattenere la luce del sole che spariva dietro il profilo dei monti. All’improvviso sentì un brivido, un freddo improvviso che lo aveva attraversato facendolo tremare.
Riaprì gli occhi: le montagne dal profilo violetto erano ancora lì, mentre il sole era scivolato via per fare posto alla sera.
Khayyam ripensò ai suoi amici: un profondo senso di gratitudine gli gonfiò il cuore.
Devo pensare a loro, si disse; prese un foglio e cominciò a scrivere le sue ultime volontà.
Non aveva molto da lasciare, era solo un matematico con il vizio della poesia, ma finora non si era mai preoccupato in quali mani finissero i suoi versi, il suo cavallo, il suo vino.
Quando Khayyam smise di scrivere alzò gli occhi al cielo: la luna stava salendo in direzione delle stelle, sarebbe rimasto lì fuori ancora per un po’, malgrado la stanchezza, malgrado il freddo.
Bibliografia:
Omar Khayyam, Quartine, Einaudi.