La ricerca d’amore, spesso inteso come pausa al dolore, la capacità di superare traumi profondi e senso di solitudine che aleggia, in una società moderna, dove il benessere economico, utilizzato come parametro che ispira le azioni della comunità in cui si muovono i protagonisti e che mostra, in maniera impietosa e inevitabile, la sua fallibilità, sono il legame che unisce i protagonisti di queste dieci storie intense e toccanti. Mary South crea una connessione potente in cui l’iperrealismo abbatte ogni incredulità e l’immaginazione diventa possibilità.
I protagonisti di queste storie sono stretti nella morsa potente del fallimento, talvolta qualcuno non se accorge e persegue il suo obiettivo in modo cieco e determinato, ma tutti vogliono, in ultima analisi, ritrovare un motivo per superare un enorme buco emotivo che galleggia dentro le loro anime turbate.
In ognuna delle vite disvelate, diverse per etnia, genere ed età, ho trovato l’umanità profonda, quella che tenta di farcela, che è nata fortunata ma poi è stata tradita, fraintesa o delusa, considerando che spesso le aspettative di successo professionale si accompagnano a imperfezioni della vita emotiva, che fanno da contraltare a un’apparente possibile felicità basata, su apparenze che si sgretolano.
Nevrosi, mancanze e ricerca di surrogati accompagnano il lettore nel racconto della giornalista, orfana, che intervista l’architetta di successo e scopre la disabilità, non celata ma neanche esibita, della figlia adolescente, che è la sua figlia biologica ma è stata portata in grembo dalla sorellastra con lievi disturbi mentali.
L’occasione di confronto con la sorella dell’architetta ci conduce in una storia nella storia, nei non detti familiari, i segreti bisbigliati dietro le porte chiuse, destinati a creare muri di gomma tra i membri della stessa, ristrettissima, cerchia familiare. Cosa rimane di questa rivalità feroce, questo bisogno spietato di accaparrarsi l’attenzione mediatica, in una forma di compensazione, peraltro irrisolta, di un amore genitoriale mai dato a sufficienza? Hannah, la sorellastra di Helen, l’architetta rampante e un filino crudele, nonché altra madre della figlia/nipote Lily, dice che “quando ami l’amore non svanisce. Il sentimento resta per tutta la vita con la persona amata, viene tramandato a coloro che ella ama, e si proietta in tutto l’universo, espandendosi con esso nell’eternità”.
C’è una neurochirurga che, attraverso l’uso di parole semplici usate per tranquillizzare i futuri pazienti sulla craniotomia, svela il suo dolore per la morte del marito, l’incredulità di fronte all’inevitabile, che nessuna conoscenza scientifica riesce a spiegare, perché non si può davvero capire quale demone abiti l’animo di chi amiamo, e che, spesso, sono proprio le persone più vicine a eluderci.
Un gruppo di infermieri si trova a spiare le telefonate alle linee erotiche dei pazienti di una casa di riposo, e in quei bisbigli si trovano le speranze di corpi che, seppure provati e non più giovani, sono ancora pieni di vita, pieni di fame e di desiderio. Il meccanismo va in corto circuito quando la compagna di un infermiere stabilisce un legame telefonico emotivo con uno dei pazienti, mettendo in luce le crepe di una relazione che non è mai davvero riuscita ad aprirsi, a far svelare l’una all’altro i loro reciproci bisogni, le fragilità che rendono salda una coppia.
In una clinica per persone che soffrono di disagi psichici ed esistenziali, il protagonista ritrova Maddy, la sua ex sorellastra (figlia della ex moglie del padre) con la quale ha ancora irrisolti sentimentali, e che, dopo il trauma di aver perso il suo bimbo neonato per morte in culla, decide di allattare i pazienti della clinica, tutti tranne il suo ex fratellastro. La frustrazione, il dolore infantile del rifiuto porta i due a ritrovarsi e a confessarsi le loro mancanze come esseri umani, e come genitori di figli morti o assenti. Il conforto che possono offrirsi è quello di dividere la loro notte densa e difficile, piena di ricordi che pesano come nodi scorsoi sulle possibilità future, che non sono più illimitate come quelle che avevano da adolescenti.
Un ragazzino, per vendicarsi del padre violento, spalleggiato da una madre indifferente e anaffettiva, crea una serie di video fake pedofili dal profilo social del padre e che, una volta scoperto, lo condurranno a essere rinchiuso in una struttura per adolescenti ricchi e difficili. La sua fuga sarà il momento in cui i suoi compagni, spinti alla sua ricerca, e il professore che si unisce a loro, si confrontano sulle loro vite piene di buchi, fatte di famiglie allo sbando e di ricerca di accettazione.
Una madre ha perso sua figlia e decide, dieci anni dopo, di ricreare la seconda bambina a immagine e somiglianza della prima, comprese le future aspirazioni infantili e i ricordi dolorosi. La bambina ovviamente, insieme al padre, vittima di una follia, decide di ribellarsi, finché la stessa famiglia nucleare implode su sé stessa, quando il dolore e la rabbiosa delusione della seconda figlia generano violenza fisica come reazione alla rimozione della madre dell’alterità della figlia sopravvissuta, fatta nascere come surrogato amoroso della prima.
Lo sguardo della talentuosa scrittrice non è mai giudicante, anzi, il suo narrare è attento, affilato, quasi un bisturi che affonda nelle nostre più nascoste pulsioni, e queste storie creano una profonda connessione con chi legge, e ritrova un pezzo, a volte mai davvero svelato o vissuto ma possibile, del proprio personale senso di perdita, del proprio bisogno estremo di gridare contro uno specchio: “Guardatemi. Esisto”. Siamo tutti frantumati, tutti bisognosi di riscatto e di nuove possibilità, nel nostro naufragio.
E se è vero che noi non siamo le nostre ferite, è pur vero che le nostre ferite, visibili o esposte al mondo, sono le impronte che lasciamo talvolta nella vita degli altri che vogliamo amare e da cui vogliamo farci amare.
Appoggio la testa sul suo petto e lei mi culla avanti e indietro, sussurrando “Suhh tesoro mio, adesso riposa”. Mi addormento mentre ascolto i battiti del suo cuore, ma prima di prendere sonno ho paura che nulla sarà mai in grado di lenire questo dolore che sento, una fame viva in ogni cellula.