Amelia alla finestra

Amelia è alla finestra, e guarda fuori. La piccola valigia è poggiata sul tappeto, non l’ha ancora disfatta da quando è tornata dalla clinica. L’ennesimo, inutile ricovero.

Amelia è alla finestra, e guarda fuori. La piccola valigia è poggiata sul tappeto, non l’ha ancora disfatta da quando è tornata dalla clinica. L’ennesimo, inutile ricovero.

Non riesce più a contare le visite mediche dagli specialisti, le diagnosi, le terapie e un’infinita teoria di farmaci e medicine che l’hanno accompagnata fin da ragazza. Schizofrenia paranoide, hanno detto, anche se lei non ci ha mai creduto. Adesso ha sessantasei anni ed è molto stanca.

Fin da piccola ha cambiato spesso città e case, in Svizzera, Stati Uniti, Inghilterra, Italia.

“Non sono apolide. Sono di padre italiano e se sono nata a Parigi è semplicemente perché lui era fuggito… dal confino a Lipari a cui era stato condannato per aver fatto scappare Turati… mio padre fu poi ucciso con suo fratello… Aver imparato l’inglese, quindi, oltre al francese, è dovuto alla guerra, perché allora andammo in Inghilterra e da lì fuggimmo poi via Canada per gli Stati Uniti… Cosmopolita è chi sceglie di esserlo. Noi non eravamo dei cosmopoliti; eravamo dei rifugiati.”

Sua madre, Marion Cave, vuole che i suoi figli conoscano tutti i particolari dell’uccisione del marito, e racconta l’esecuzione dei fratelli Rosselli senza tralasciare niente: Amelia ha sette anni, suo fratello John ne ha dieci e Andrea, il più piccolo, sei.

Nella stanza fa freddo, Amelia vorrebbe prendere una giacca o uno scialle dall’armadio ma è bloccata da un pensiero. Si ricorda di quel giorno che ha buttato via tutti i suoi abiti, convinta che fossero stati spruzzati di acido. E se fosse entrato qualcuno quando lei non c’era? Qualcuno dei suoi persecutori, uomini della CIA o dei Servizi, persone invisibili che la spiano, controllano i suoi movimenti, ascoltano le sue telefonate.

Amelia vorrebbe sedersi e provare a scrivere, ma il morbo di Parkinson non le dà tregua.

Apre a fatica un’agenda dove annota pezzi vita: incontri con quelli del Gruppo 63, recensioni, traduzioni, articoli, ricorrenze.

Trova l’appunto su una intervista che ha rilasciato:

“Scrivere è chiedersi come è fatto il mondo: quando sai come è fatto forse non hai più bisogno di scrivere. Per questo tanti poeti muoiono giovani o suicidi”.

La frase le risuona nella testa, mentre continua a guardare fuori.

La portiera le ha portato Il giornale di oggi che Amelia non ha neanche aperto. Ha la data dell’undici febbraio, lo stesso giorno in cui la sua amatissima Sylvia Plath si è tolta la vita.

Suo padre, le poesie, gli elettroshock, le spie che non le danno tregua, la malattia senza nome.

Oggi è l’undici febbraio del 1996, e Amelia ora ha capito: via del Corallo in questo momento è deserta, non passa nessuno, il momento perfetto per un volo dalla finestra.

Bibliografia:

Amelia Rosselli, Serie ospedaliera, Il Saggiatore;

Amelia Rosselli, Appunti sparsi e persi, 1966-1977, Empiria.

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