Dalla finestra della grande stanza il barone Lucio Piccolo di Calanovella poteva vedere il mare, lontano e tutto grigio.
L’antica casa sembrava piena di misteriose presenze, e quella sera le sue orecchie percepivano sussurri e strani fruscii.
Suo cugino, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, lo aveva sempre preso in giro per i suoi studi esoterici e la passione per lo spiritismo. In realtà ne aveva paura, pensò Lucio. Legatissimi fin dall’infanzia, erano accumunati dalla stessa passione per la lettura e una certa indolenza, tutta siciliana, nello scrivere, frenati anche dal timore dei reciproci sarcasmi.
Lucio ripensò con rammarico a quel pastiche scritto a quattro mani da ragazzi dove dicevano cose tremende sui personaggi importanti che frequentavano un circolo di Palermo, una cosa divertente che avevano poi distrutto.
Gli tornarono in mente gli scherzi del cugino: ogni tanto questi gli leggeva brani di autori famosi spacciandoli per suoi. “Per umiliare la mia ignoranza” pensò Lucio, e sorrise al ricordo di quando era lui a vendicarsi, tendendogli trabocchetti su letture che Giuseppe, pur essendo un formidabile lettore, sosteneva di aver fatto, e non era vero.
Erano venuti poi i tempi dei viaggi, a Londra e a Parigi c’erano andati insieme, e Lucio si era sorpreso non poco nel vedere il cugino, uomo dalla corporatura pesante, diventare leggero come una piuma mentre prendeva i tram al volo.
Fu durante un suo soggiorno a Villa Piccolo che Giuseppe ricevette il suo romanzo rispedito dall’editore con la lettera di rifiuto.
Lucio rivedeva lo sguardo desolato dei suoi fratelli, Giovanna e Casimiro, quante volte il cugino, dopo il pranzo serale, accomodato sulla grande poltrona di pelle rossa, aveva letto loro parti del romanzo che stava scrivendo.
Con una smorfia amara sul volto Giuseppe si era avvicinato al piano a coda, messo un po’ di sbieco accanto alla finestra. Aveva poggiato sul piano il manoscritto del Gattopardo che era rimasto lì sopra per tre mesi, senza che nessuno osasse spostarlo.
Giuseppe era morto a Roma, lontano da casa, proprio come Tancredi, ma non era una coincidenza, Lucio lo sapeva, come sapeva che quella sera non era solo nella grande casa battuta dal vento.
Quando verrà a Milano?, gli aveva chiesto la giornalista, bionda e curiosa del “Corriere della Sera”, venuta il giorno prima a intervistare il poeta siciliano scoperto da Montale.
Sono avvinto da qualcosa che mi impedisce di lasciare questi luoghi, forse a trattenermi è un incantesimo di seta, le aveva risposto, poi l’aveva accompagnata fuori a visitare il giardino.
Bibliografia:
Lucio Piccolo, Canti barocchi e altre liriche, Mondadori
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli.