Anche nel romanzo Olga (Neri Pozza 2018) come in quello che ne ha decretato la fama internazionale, Il lettore, Bernhard Schlink affronta i temi del male e della colpa nella storia tedesca del novecento, questa volta in un contesto storico più allargato, che estende le sue radici fino alla Germania di Bismarck con le sue smanie imperiali, che avevano acceso gli animi di generazioni di giovani fino alle soglie della Grande Guerra. Il fascino del libro scaturisce da una sorta di rifrazione dei fatti narrati ad opera delle differenti finestre temporali (inizio del ventesimo secolo, primo conflitto mondiale, secondo dopoguerra, giorni nostri) e dei differenti punti di vista nella narrazione. Ne esce un grande affresco tridimensionale nel quale i destini individuali e quelli collettivi si incrociano e lasciano un segno attraverso le generazioni, acquisendo nella memoria un significato ed una struggente, poetica bellezza.
L’opera è strutturata in tre parti. Nella prima c’è una descrizione dei fatti esposta in modo impersonale dal narratore. Si parte dall’infanzia e dalla giovinezza di Olga, la protagonista, una ragazza dei quartieri poveri di Breslavia, che perde precocemente i genitori e che viene cresciuta in Pomerania con fredda severità dalla nonna paterna, la quale pretende perfino di cambiarle il nome perché troppo slavo. Lì frequenta le scuole e manifesta una sete di conoscenza che va al di là dei programmi scolastici e che la porta ad essere una donna emancipata, all’avanguardia per i tempi. Il suo bisogno di superare gli argini culturali del piccolo mondo della provincia prussiana trova corrispondenza nelle irrequietudini di Herbert, un giovane brillante e vanaglorioso, di famiglia ricca e nobile, che ben presto si lancerà in avventure coloniali in Africa ed in esplorazioni in Sud-America, in Siberia e sulle distese ghiacciate dell’Artico, alla ricerca di “spazi infiniti” ed inseguendo il sogno di grandezza della Germania guglielmina. I due si innamorano ma la loro relazione viene ostacolata dai pregiudizi di classe della famiglia di lui. Olga, che lavora come insegnante in una scuola elementare, viene fatta trasferire in un villaggio sperduto della Prussia Orientale dove manterrà un rapporto epistolare con Herbert, continuando ad inviargli lettere senza ricevere risposta nella speranza, che si rivelerà vana, della sua sopravvivenza all’avventura artica. In quel villaggio lei vivrà gli anni della Grande Guerra con i suoi orrori e si prenderà cura di Eik, il bambino di una famiglia di contadini, assecondando il suo bisogno d’avventura, così simile a quello di Herbert. Cercherà però di metterlo al riparo dalle pericolose idee di grandezza dell’uomo amato, nelle quali lei intravvede, con acuta chiaroveggenza, i germi del nazismo e di tutte le tragedie che di lì a poco si abbatteranno sull’Europa.
Nella seconda parte l’io narrante è Ferdinand, figlio di un pastore protestante, nella cui casa Olga, profuga dalla Germania dell’Est, si guadagna da vivere facendo la sarta. Man mano che Ferdinand cresce lei gli racconta in modo sempre più completo di Herbert e del proprio amore per lui. Tra il ragazzo e la donna si crea un rapporto privilegiato, fatto di confidenze e di silenzi, di lunghe passeggiate, di spettacoli visti assieme al cinema o al teatro, di visite a musei, di pasti consumati assieme in trattoria.
Nella terza parte, la più toccante, ci sono i testi delle lettere che Olga aveva scritto a Herbert dal 1913 al 1915 dopo la sua partenza per l’Artico, lettere che Ferdinand, incuriosito e affascinato dalla figura di Olga e desideroso di riscattarne il doloroso passato, aveva rintracciato dopo un paziente lavoro investigativo.
È soprattutto in questa parte del libro che emerge la profonda, dolorosa e composta esperienza della donna, capace di tenere in vita il proprio amore aldilà di ogni ragionevolezza e di ogni speranza. Non si tratta però della patetica e delirante negazione della realtà di chi, non sapendo rassegnarsi alla perdita della persona amata, smette di vivere attivamente e mantiene lo sguardo fisso al passato, ma della scelta consapevole di una donna forte e determinata, che, pur continuando con impegno la propria vita, mantiene un colloquio ideale con l’uomo di cui si era innamorata da giovane e che continuerà ad amare fino alla morte.
Nelle pagine di diario emergono la dignità, l’umanità, la pietas, il coraggio, la saggezza, l’umiltà e la grande forza di Olga che riesce a mantenere saldo il timone tra le onde della speranza e della delusione. Emerge anche il significato profondo dell’amore che prescinde dai pregi e dai difetti della persona amata. Quando Ferdinand chiede a Olga, ormai anziana, come facevano a convivere in lei il suo amore per Herbert e il rifiuto per le sue fantasie lei risponde che “l’amore non tira le somme delle qualità positive e negative dell’altro” e quando poi lui le chiede di cosa si nutrisse il suo lutto dopo cinquant’anni lei risponde: “Io non porto il lutto per Herbert, io ci convivo.”
Il tema del lutto e della morte sono presenti nel libro fin dall’inizio, fin dalla morte dei genitori di Olga, ma assumono una dimensione universale quando nel microcosmo contadino dove vive Olga vicino a Tilsit si sentono i contraccolpi della prima guerra mondiale. Le donne, una dopo l’altra, vestono a lutto e i pochi uomini che tornano si ritengono fortunati di avere “solo” delle mutilazioni. Nei campi lavorano i ragazzi sottratti alla scuola. È in tale contesto che Olga, la quale aveva fino a poco tempo prima nutrito concrete speranze di rivedere Herbert, si rassegna alla sua morte, perché si rende conto che in quel momento è un’intera generazione di uomini a sparire e se anche Herbert fosse sopravvissuto al gelo polare sarebbe morto sui campi di battaglia. Sopravvivere è diventato un lusso riservato a pochi e Olga impara a convivere con il lutto affrontando la vita con forza e umiltà.
In un’intervista Schlink ha detto che, se Herbert è ispirato ad una figura storica, Olga è un personaggio simbolico, rappresentativo di una generazione di donne che ha dovuto affrontare la vita sostituendosi spesso agli uomini ma senza averne i diritti, una generazione che è vissuta all’ombra dei loro uomini pur avendo qualità pari o superiori a loro. C’è quindi una dimensione eroica, sacrificale, profonda e collettiva nella protagonista, che la rende più interessante e moderna della figura di Herbert, “eroe” solitario di stampo ottocentesco, visibile, brillante ma tragicamente fatuo. “Cosa ci vai a fare al Polo?”, chiede Olga mentre sono in riva al fiume Memel e lui risponde: “Noi tedeschi …” “No, non noi tedeschi,” ribatte lei. “Cosa ci vai a fare tu?”
Foto di copertina: un particolare del libro Neri Pozza