Vicino a personaggi che, nel bene e nel male, contribuiscono a creare il mondo, esistono anche persone comuni, che dell’eccezionalità o brutalità o follia del loro vicino non si sono mai accorti. È quello che succede a Duane Oshun, che, dopo il divorzio, a metà anni ’70, va a vivere in Montana e inizia faticosamente a costruirsi una nuova vita, a nutrire piccole timide speranze. Un nuovo lavoro, una nuova relazione, dei nuovi amici. La comunità è piccola ma fortemente litigiosa, e vede da un lato i cacciatori e i fautori del nuovo progresso economico, dall’altra i guardia parco e custodi della intangibilità del bosco e delle sue creature. L’Old King che dà il titolo al romanzo è un albero secolare, un simbolo di forza e intangibilità di un mondo sulla soglia di una violazione traumatica e senza possibilità di ritorno.
L’America è quella della doppia faccia della disfatta del dopo Vietnam e della crisi energetica, e al contempo della voglia avida di riscatto e di mancata rinuncia al benessere. In questo contesto nessuno sa, e men che meno Duane, che Ted Kaczynski, noto come Unabomber, è il suo solitario vicino di casa, che passa il tempo a covare rancore per una società meccanizzata che distrugge i cicli naturali in nome di un profitto indiscriminato. Al rancore presto si aggiunge il desiderio bruciante, senza scampo, di fare del male, di ferire e uccidere un numero molto alto di persone, nel tentativo di rendere visibile la sua rabbiosa esclusione dal contesto sociale, che non ha riconosciuto la sua genialità e ha tentato di ridurlo a robot incastrato in un sistema disumanizzato. I pensieri ossessivi e criminali di Ted prendono luce come reperti sepolti, coinvolgendo il lettore dentro una serie di riflessioni su quanto sia accettabile una guerra combattuta verso persone inermi, vittime non solo di quel sistema, ma anche di chi quel sistema dichiara di volerlo sconfiggere.
La contrapposizione tra i due modi di intendere la realtà (Ted da un lato, America dall’altro) è costellata da un fiume di sangue che termina con la cattura di Ted. Nel frattempo, il protagonista svela al lettore le sue manie, la sua cattiveria meschina, la sua crudeltà miope quando per esempio, infastidito dal rombo delle moto, escogita un modo per farlo terminare, anche se questo comporta un danno grave a chi guida quella moto, anche se si tratta solo di un ragazzino.
La mancanza di empatia che suscita il personaggio messo in scena suggerisce una serie di interrogativi al lettore. Quando riteniamo di essere stati penalizzati da un sistema, che prolifera e si nutre anche della nostra energia, quale è il limite che siamo disposti a rispettare, quando la presunta prevaricazione e violenza subita noi la percepiamo priva di limiti?
Ted è solo un personaggio negativo? Onestamente alcune cose di lui fanno tenerezza, eppure ha fissato un prezzo troppo alto (oltre che insensato) al suo obiettivo. Per me l’attenta opera di ricostruzione ha il pregio di aver raccontato le contraddizioni dell’America, di aver, impietosamente, mostrato le ambivalenze del sistema produttivo americano, la sua spietatezza. Ma questo non basta a giustificare un attentatore assassino (probabilmente nessun assassino può essere giustificato), quanto invece a gettare una luce sulla fallibilità del paese più ricco del mondo. Perché non c’è dubbio che Kaczynski sia il figlio non prodigo dell’America rurale, quell’America che mostra i segni di quella che sarà l’età di Trump, pronta a volersi mettere al sicuro da ogni estraneo.
Il romanzo racconta anche e soprattutto le storie (frutto di fantasia dell’autore, a parte quella di Ted Kaczynski) delle future vittime inconsapevoli, di quelli che pur respirando la sua stessa aria, e calpestando il suo terreno, hanno relegato nel facile scomparto della cortese distanza vicinale l’isolamento patologico di Ted, reputandolo semplicemente un eccentrico.
Con lui però il “not in my backyard” non funziona e, quando il mondo esplode, siamo costretti a verificare che accanto alla nostra porta di casa vivono dei mostri, e quei mostri hanno delle facce tranquille, inespressive, perfino rassicuranti, quando ci fanno un brusco cenno di saluto, prima di chiudere la porta di casa sui loro segreti. E sui nostri.
“Non penso sia un male. Se non tagli la legna qualcuno avrà freddo, e se non vuoi che la gente non muoia di fame o di freddo non c’è altro modo. Tutti credono di meritare una vita confortevole e forse è davvero così.
Jackie si inginocchiò e aprì la credenza in cerca dello zucchero. Era sorpresa dal suo stesso monologo; era diverso da quello che avrebbe fatto cinque anni prima. Quando era sposata con Mason pensava che ogni angolo di foresta in Montana andasse protetto, e che la punizione per chi uccideva un animale a rischio di estinzione dovesse essere uguale a quella di chi uccideva una persona”.