Io penso che esista, dentro ognuno di noi, una porta aperta e vuota dove finiscono le parole che dimentichiamo di dire, che non abbiamo voluto dire, che abbiamo scelto di censurare.
È tipo una porta sullo spazio, si affaccia dove il tempo non scorre, lì le parole buttate stanno sospese, legate solo da fili invisibili a pezzi in noi. E, mentre noi invecchiamo al di qua della porta, dall’altra parte le parole taciute, finte, esagerate, inutili si slegano, se ne vanno e si inabissano. Quelle vere invece, là nel buio, pesano, stringono i fili ai pezzi di noi che le hanno silenziate e a cui restano legate per sempre.
I più non le vedono, non ne sentono il rumore, ma silenziose fanno sanguinare.
Alcuni artisti, come poi succede pure nell’amore, riescono a connettersi con quello spazio al di là della porta e sono capaci di dialogare, di dire tutto di quei luoghi intimi. Sono in pochi ad arrivarci.
Chester Bennington, uno dei miei cantanti preferiti, da lì non è più tornato. Perché parole limpide e pure lo hanno portato troppo in fondo, dove l’anima va in frantumi.
Tutti gli artisti, tutti vorrebbero andare fin lì a trovare le parole, ma pochi si assumono il rischio.
E questa nuova canzone dei Linkin Park, Friendly Fire, dopo anni dalla morte di Bennington, operazione commerciale o meno, ha rimescolato la mia angoscia sulla fine del cantante. Perché so esattamente dove è andato.
E se fosse un gelato, sarebbe una coppa di vetro che stai mangiando, congelata, che va in frantumi e tu hai intorno chi ti ama, hai intorno chi ti difende, hai intorno chi dipende da te, chi si fida di te, chi conta su di te, ma tu la continui a mangiare perché tu la desideri, perché ne vuoi sempre di più ma non ti accorgi che la lingua ti sanguina, la gola ti sanguina e dentro i polmoni, l’intestino, il fegato sanguinano e i tagli ti uccidono un po’ alla volta e tu lo sai e non fai più nulla.
Facciamo del male alle persone che amiamo, mentre disintegriamo noi stessi e i fili legati agli echi di parole stringono e, insieme ai vetri, ti finiscono e ti portano giù, al di là di quella porta che si chiude in silenzio.
“Caledonian Road” di Andrew O’Hagan – traduzione di Marco Drago (Bompiani)
Una storia senza innocenti o vincitori, ma solo persone ferite che riescono a farcela con quello che resta dopo un evento drammatico destinato a essere uno spartiacque nelle loro vite.