“Il passo dell’ombra” con Andrea Mauri

«La bellezza è ciò che mi fa sentire in armonia con il mondo. Può essere un angolo silenzioso della città, una terrazza su Roma in un giorno di tramontana, le ore trascorse a osservare il mare».

Mi capita ogni tanto di lavorare su testi che secondo me fotografano in modo lucido e coinvolgente l’epoca in cui sono scritti. La nostra per esempio è un’epoca che sembra ricercare la bellezza come antidoto alla furia folle che ci circonda e quando ho letto la prima idea di questo nuovo romanzo di Andrea Mauri, Il passo dell’ombra (Affiori 2024), ho pensato che avesse tutte le caratteristiche per coinvolgere il lettore e realizzare una potente metafora di questa nostra tensione contemporanea. Andrea Mauri ha già pubblicato diversi libri di differente genere, il romanzo Mickeymouse03 (Alter Ego 2016), le novelle storiche di L’ebreo venuto dalla nebbia. Venezia e Roma: due storie di ghetti (Ensemble 2017), i racconti di Contagiati (Ensemble 2019), l’inchiesta a più voci Ragazzi chimici. Confessioni di chemsex (Ensemble 2020), ma ho la sensazione che in questo Il passo dell’ombra abbia trovato una maturazione della sua voce che gli permette di narrare una storia apparentemente semplice ma densa di suggestioni evocative contemporanee. Il romanzo racconta due artisti, il fotografo romano Raffaele, che avanza zoppicando nella vita non solo per un piede deforme ma per una sorta di deformità dell’anima, ed Esteban, stella della danza andalusa, un ballerino di successo che nasconde dietro un corpo perfetto le sue debolezze. Ad accompagnare la loro parabola spunta un antico termine spagnolo denso di significati quasi esoterici, il duende. Sono lieto che, a distanza di qualche tempo dalla sua prima stesura, il libro abbia raggiunto le librerie, e questo mi permette di fare una chiacchierata con il suo autore.

 

Al centro di questo romanzo mi pare ci siano i corpi, anzi la differenza tra i corpi, era questa la spinta iniziale per la scrittura?

Esatto, Paolo, proprio così. Un’idea che ho in testa da un po’ di tempo. A pensarci bene è nata con la raccolta di racconti Contagiati che ho pubblicato nel 2019, dove si parlava di corpi esposti al contagio, di corpi che subiscono le grandi e piccole trasformazioni della vita, dell’ambiente, delle relazioni che li circondano. In fondo anche in questo romanzo torna il tema del contagio, il contagio di un corpo perfetto come quello del ballerino spagnolo Esteban con quello imperfetto del fotografo romano Raffaele, colpito da una deformazione al piede. È un contagio tra perfezione e imperfezione, ma anche del suo contrario, tra imperfezione e perfezione e ciò che ne consegue.

 

C’è anche un amore apparentemente impossibile, no?

Secondo me, due corpi così differenti è inevitabile che si sentano attratti l’uno dall’altro. Magari per una spinta che all’inizio potrebbe essere semplice curiosità, ma poi si trasforma nel desiderio di appropriarsi del corpo dell’altro per studiarne la differenza e ancora dopo in un amore frenato dalla paura dell’ignoto, dal timore dell’incontro di due mondi così distanti. O forse il desiderio di amore dei protagonisti è solo nella loro fantasia: entrambi sono incapaci di amarsi veramente e di superare i pregiudizi e gli stereotipi sui corpi conformi e difformi.

 

Balletto e fotografia sono due arti differenti tra loro, una è bellezza in azione, l’altra insegue la bellezza. Rappresenta i protagonisti del romanzo?

Sicuramente balletto e fotografia sono due arti differenti, come tu osservi bene, ma in ambedue i protagonisti del romanzo, Esteban e Raffaele, c’è un elemento in comune: la ricerca della bellezza attraverso i dettagli. Quasi un’ossessione per entrambi, direi. Esteban non si accontenta di avere un futuro di successo già tracciato sulla via del flamenco. Fatica per diventare una stella della danza classica attraverso l’inseguimento dei dettagli del corpo, dei passi, delle musiche, dei pezzi giusti per esprimere la bellezza che sente appartenergli. Raffaele cura le sue fotografie con dettagli che rasentano il turbamento, soprattutto fisico, gettandosi nei parchi di notte a fotografare ragazzi, anche lui inseguendo un suo modello, le fotografie del barone Wilhelm von Gloeden e dei dettagli di luce curati nei minimi particolari in quelle foto. Forse, mi sentirei di dire, per Esteban e Raffaele la bellezza è qualcosa da inseguire fino allo sfinimento.

 

E la scrittura che tipo di arte è? Come la consideri?

Per me la scrittura si avvicina molto alla fotografia. Scrivere è mettere sul foglio scatti dei personaggi di racconti e romanzi e poi farli combaciare come in un puzzle, che in fondo rappresenta la vita nella sua complessità. La scrittura è un’arte dinamica, anch’essa pervasa dalla ricerca ossessiva dei dettagli, delle sfumature, delle luci e ombre. Anche se poi questi particolari non emergeranno tutti nella storia che si va a costruire. Però saranno utili alla formazione dell’impalcatura della vicenda.

 

Cos’è per te la bellezza?

La bellezza è ciò che mi fa sentire in armonia con il mondo. Può essere un angolo silenzioso della città, una terrazza su Roma in un giorno di tramontana, le ore trascorse a osservare il mare. E poi c’è una bellezza particolare che mi piace scovare tra la gente. Spesso mi ritrovo a osservare sconosciuti e immaginarli bambini. Sono affascinato dalle tracce infantili su volti adulti. Non so da dove provenga questa fissazione, comunque l’associo alla bellezza dell’essere umano.

 

E poi c’è il duende, di che si tratta?

Nella cultura spagnola il duende in senso stretto è uno spiritello dispettoso, un folletto che occupa gli spazi della vita e che nessuno può scacciare, perché la terra non ha confini e il duende non appartiene a niente e a nessuno. In questo senso il duende si insinua nell’incontro tra Raffaele ed Esteban; il loro continuo rincorrersi non è solo la conseguenza di vite molto differenti, ma anche il risultato di un incantesimo del duende che mette lo zampino nella relazione tra i due protagonisti. Il duende però ha acquisito anche un significato simbolico nella cultura flamenca e rappresenta l’ispirazione, l’incanto misterioso che si impossessa dell’arte e la rende eterna. Il tema del duende fu introdotto da Federico Garcia Lorca.  Nel suo libro Gioco e teoria del duende del 1933 e ripubblicato di recente da Adelphi (2012), c’è una poesia che racconta di una bellissima donna che sale in scena e canta. Ha una voce intonata, l’esecuzione è perfetta, ma il poeta non si commuove. Poi sale sul palco una donna vecchia, anche lei si mette a cantare e quello che canta è quello che canta. In quella voce si annidano le emozioni. Ecco, il duende è l’essenza dell’arte, la verità emotiva, il sangue.

 

È una storia con vari contrasti, perfezione e disabilità, povertà e ricchezza, libertà e dominazione, l’avevi previsto o è venuto così?

Come dicevo prima, l’idea iniziale è stata quella di raccontare una storia sui corpi conformi e difformi. Il resto si è formato strada facendo. Il processo di scrittura, come tu ben sai, è stato lungo e ha subito svariate interruzioni. Durante queste pause forzate sono nati nuovi punti di vista, nuovi dettagli che hanno ridato motore alla storia.

 

Quanto c’è di te in questa storia? Qualche nascosto elemento autobiografico?

Succede a tutti gli autori: all’interno delle storie di fantasia ci sono sempre tracce della loro esperienza, disseminate qua e là. Di me in questo romanzo c’è l’amore per Il lago dei Cigni, c’è lo stupore della prima volta all’opera in versione estiva alle Terme di Caracalla di Roma, c’è anche il desiderio molto molto nascosto di essere un ballerino come Esteban, di abitare il suo fisico perfetto. E c’è pure una certa dose di voyeurismo.

 

Se dovessi scegliere chi essere tra il ballerino e il fotografo, chi sceglieresti?

Sceglierei Raffaele, il fotografo. Innanzitutto, perché è il primo personaggio che mi è venuto in mente, quando è nata questa storia. È il motore del romanzo e a lui sono molto affezionato. In secondo luogo, perché è un uomo romantico, attaccato ai tempi antichi, chissà antico lui stesso, fuori dal tempo. Mi attraggono gli uomini che sembrano arrivare da altri mondi, che sembrano appartenere a un’altra dimensione. Raffaele non si è omologato alla vita; soffre la sua differenza e il dolore nutre la sua anima. C’è anche una terza ragione per la quale preferisco il fotografo: come dicevo prima, sono invidioso di Esteban e del suo corpo perfetto, del fatto che lui è riuscito a ballare, anche se con pena, ma con la leggiadria che ho sempre ammirato nei ballerini e quindi per me è più difficile entrare in sintonia con lui.

 

Se ti dicessero che hai scritto una storia d’amore, saresti contento?

Super contento. Che c’è di male a scrivere una storia d’amore? Dalla mia ho il merito di aver provato a raccontarne una nelle sue tante declinazioni. Lascio ai lettori giudicare se sono riuscito nell’intento oppure no. Ovvio che esistono diversi piani di lettura della storia, ma vorrei che quello dell’amore fosse al primo posto. Forse l’amore tra Raffaele ed Esteban è qualcosa di interrotto, inseguito, inespresso, ma è pur sempre l’espressione dell’amore.

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Paolo Restuccia

Scrittore e regista. Cura la regia della trasmissione Il Ruggito del Coniglio su Rai Radio2. Ha pubblicato i romanzi La strategia del tango (Gaffi), Io sono Kurt (Fazi), Il colore del tuo sangue (Arkadia) e Il sorriso di chi ha vinto (Arkadia). Ha insegnato nel corso di Scrittura Generale dell’università La Sapienza Università di Roma e insegna Scrittura e Radio all’Università Pontificia Salesiana. È stato co-fondatore e direttore della rivista Omero. Ha tradotto i manuali Story e Dialoghi di Robert McKee e Guida di Snoopy alla vita dello scrittore di C. Barnaby, M. Schulz.

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