Corpi che si avvitano, che si fanno sottili, che si contorcono in posa, corpi che sublimano la propria bellezza, nella ricerca dell’attimo, incandescente, perfetto, in cui esprimono quello che desiderano: la perfezione nell’arte. Arriva un momento, frenetico, pazzesco, in cui, da ballerino, capisci di essere geniale, che è una cosa diversa dall’avere talento, e questo momento per Carlisle, figlia di una ex ballerina e di un geniale coreografo, non arriva mai. Il padre e la madre, molto più giovane dell’ex marito, si sono separati quando lei era piccola, a causa della nascosta, e poi rivelata, omosessualità di lui. Dopo un periodo burrascoso, Carlisle riprende a frequentare il padre, Robert, e il suo compagno James, insegnante di danza, con il quale instaura un legame profondo fatto di passioni condivise e di complicità amicale.
Anche la madre si rifà una vita, e ha un figlio dal nuovo marito. Per Carlisle arriva il momento in cui la snodatezza del corpo, la sua scioltezza disarticolata, non le garantisce più l’amore né l’ammirazione. Il racconto, fatto di frammenti temporali, nasconde il segreto di un tradimento, o percepito come tale, del padre, quando lei aveva 24 anni, e c’è stato un fraintendimento tra l’ossessione di James per un suo allievo e il tentativo di Carlisle di incontrare questo ragazzo e di far tornare la pace tra il padre e il compagno. I meccanismi dell’amore e dell’attrazione e dell’ambizione sfrenata però non sono mai semplici, e Carlisle si innamora ferocemente di Alex, del suo corpo che ha scoperto tardi la passione per la danza, e che viene indicato come un genio da chi ha modo di vederlo ballare. Lei rimane in un angolo, disposta a essere la fidanzata del ballerino geniale, riconoscente per la possibilità che ha di seguirlo in Germania. Questa è la possibilità di vita che potrebbe iniziare. Ma poi succede qualcosa, una frattura, un tentativo di suicidio, e quello che poteva essere diventa un nuovo rimpianto, una possibilità di paradiso perduto.
Durante l’esilio dalla casa newyorkese della coppia, non ha mai contatti diretti con il padre, e con James si sente al telefono, con una certa strana distanza, che ha soppiantato l’antica complicità.
Quando il padre desidera rivederla, oramai sono passati più di vent’anni dal supposto tradimento e abbandono, e Carlisle, ormai diventata a sua volta coreografa, deve chiarire con se stessa se le interessa riannodare i fili della sua giovinezza interrotta o continuare con la sua vita, senza nuovi traumi imposti dal rinnovato contatto con il padre. Ciò che sente, prepotente, inarrestabile, è che nessuno l’ha amata abbastanza, né la madre, che adora il secondo figlio e tiene lei a una cauta distanza, né il padre, che non può vivere senza James ma riesce invece a fare a meno del contatto con la figlia, e nemmeno il fidanzato di allora, Alex, che, dopo averle sbattuto in faccia la sua delusione per la debolezza dimostrata, si è diretto verso i suoi impegni professionali.
Quanto devi sforzarti per essere amata, a quante parti di te devi essere disposta a rinunciare per corrispondere all’immagine perfetta di una te intravista in uno specchio, le braccia sollevate nell’arco della terza posizione, docile, accanto alla sbarra? In sostanza, il romanzo della Howrey parla di ricerca autentica del sé, di delusioni e di fratture, vere ed emotive, e di seconde e terze possibilità. Cosa resta di noi, quando prendiamo coscienza che non riusciamo a realizzare i nostri sogni, i limiti invalicabili dell’anima e del corpo. Ecco, per sfuggire al senso di inazione e di fallimento, greve come un cielo grigio, un gelo improvviso nelle ossa, dobbiamo continuare a danzare, come possiamo, con il corpo non perfetto, piegato dal tempo ma non distrutto.
“Nessuno vuole che diventi una ballerina.
Sono capace di danzare. Seguo gli insegnamenti, me li ricordo. Ho dodici, tredici, quattordici anni, gli anni in cui la danza può diventare la tua identità per fortuna. L’alternativa è l’adolescenza. La danza, almeno, ha delle regole che puoi capire.
Per la danza è necessaria una devozione assoluta. La devozione non riguarda precisamente l’amore. Un grande ballerino ha bisogno di una misteriosa alchimia di umiltà e ossessione. È una questione di principi morali”.