Siamo vivi e poi siamo morti, e nel tempo che avanza tra l’espulsione da un corpo che ci racchiude a quando verremo riassorbiti nella terra dobbiamo soddisfare una serie di bisogni primari. Però nutrire il corpo non basta, bisogna anche procurarsi del nutrimento per l’anima, provare emozioni, e mettere in atto il significato che le emozioni imprimono alle scelte. Ed è proprio a questo punto che i protagonisti di questi racconti, tutti con dei legami di consanguineità, o basati sul rimpianto, presentano qualcosa di danneggiato, di disforme rispetto alle scelte che avrebbero potuto fare e non hanno fatto, continuando a vivere in una sorta di comfort zone, per quanto arida, invece di rischiare. Se vivere può provocare dolore, allora le persone ritratte, colte nell’attimo del possibile cambiamento, scelgono di non disfarsi del loro carapace, e di continuare sulla strada più facile, il percorso che conoscono meglio. Matrimoni asfittici, relazioni pesanti come piedi di gesso, desideri morti in culla, queste sono le visioni che accomunano tutti e tutte. Chi si accontenta di essere un’amante, di essere divorata da un uomo sposato, che non mette e non metterà mai in discussione il suo legame apparentemente stabile, è forse l’unica storia in cui la protagonista ha un guizzo di consapevolezza e di orgoglio, scegliendo un’altra possibilità, invece di farsi consumare e logorare da una notte che trascolora in un’alba che la relega al ruolo di donna di scorta.
Quando hanno la possibilità di urlare, di modificare i propri corpi nello slancio del desiderio, si accorgono che sono trattenuti, probabilmente dalla loro paura, che chiamano con molti nomi: impegno, famiglia, affetto, e soprattutto abitudine. Il desiderio è ormai collassato su se stesso e a loro non resta che guardarsi dentro e ricordare quello che avrebbero potuto essere, le potenzialità tradite e mai abbastanza dimenticate, che lasciano tracce luminose, come bava lucente di lumaca che brilla al sole. Qualcuno spia dalle finestre la vita degli altri, godendo del momento, a tratti illusorio, della condivisone degli sguardi, imparando a conoscere pelle viva e diaframmi che si alzano e si abbassano, ma protetti dalla distanza, dai balconi e dai vetri.
Le nostre spalle, talvolta, sono troppo fragili per reggere il peso della vita che ci crolla addosso, e dobbiamo rifugiarci in una caverna e accontentarci di somigliare a ombre riflesse, assuefatte alla bidimensionalità. L’autrice sceglie di indagare su persone rinchiuse, che ricordano lo slancio e la passionalità ma decidono di non seguirle né l’uno né l’altra, e di rimanere ancorati al pezzo di pavimento dove sono seduti, in attesa. Non smettono di essere vivi e umani, perché noi umani siamo anche questo, più e più volte, rinunciatari, desiderosi di emozioni che non sappiamo trasformare in azioni, oppressi da sensi di colpa e dalle aspettative di altri che dicono di amarci, mentre ci mettono una catena al collo. Con un lucchetto.
“Continua ad amarmi come se non ci dovessimo mai allontanare, come se non avessi una moglie e delle figlie, un lavoro, degli amici, le scadenze, le rate, le vacanze da prenotare, come se bastasse il desiderio a farti vivere, il mio sorriso, i miei morsi, le mie gambe intrecciate alla tua schiena, i miei orgasmi, la mia voce, come se non ti avessi nascosto il mio occhio che trema – lo avresti baciato? Avrebbe smesso di tremare. Come adesso, si sta calmando, sarà stata l’acqua calda o questo senso di leggerezza? Dovrò descriverlo alla dottoressa Consani, sono sicura che mi dirà una delle sue frasi, per esempio che sto imparando a volermi bene.
Mi sento ancora leggera, leggerissima. Ripenso per un attimo al pezzetto di carta blu sulla poltrona di casa mia, il pezzo di lettera che non ho mai spedito all’uomo che non ho mai sposato.
Con i tacchi sono alta, cammino con calma e mi stringo nell’impermeabile, penso che sarà bello attraversare la città al contrario.
Tu uscirai dal bagno e io sarò sparita.”