Nel tardo pomeriggio un raggio di sole entrò dalla finestra e, lento ma inesorabile, puntò verso il volto scavato poggiato su una pila di cuscini. Colette si svegliò di colpo, la cameriera aveva dimenticato di tirare le tende.
Con una smorfia di dolore appoggiò la schiena sulla spalliera della poltrona-letto dove ormai passava le sue giornate, inchiodata da un’artrosi che non le dava pace.
Questo letto è la mia zattera, sospirò, e io sono una naufraga.
Tirò a sé una specie di leggio di squisita fattura che fungeva da scrittoio, dono della Principessa di Polignac, carico di carte vergate da una scrittura fitta e minuta.
Dalla sua postazione vedeva e scrutava il mondo con la curiosità vorace che l’aveva resa una delle donne più famose di Francia. Malgrado la fama e la Legion d’onore, dal 1938 Colette viveva al numero 9 di Rue Beaujolais, praticamente una camera, con una vista magnifica sui giardini del Palais Royal.
Colette ripensò alla casa dov’era nata, a Saint Sauveur en Puisaye, in campagna. Poi, con il matrimonio, c’era stata quella di Rozven in Bretagna, e poi ancora Castel Novel nel Limousin e quella a Treille-Muscate in Provenza.
Nessun luogo, però, per quanto incantevole, aveva eguagliato Parigi: gli amori, uomini e donne, il Moulin Rouge, le feste, la polizia che interrompeva i suoi spettacoli perché Colette recitava a seno nudo, il successo, il music-hall, i suoi abiti di foggia maschile… Parigi le aveva dato tutto, e lei aveva ricambiato amandola senza riserve.
Anche adesso che era vecchia e malata, Parigi le girava intorno e lei continuava a sentire il cuore pulsante di quella che era diventata la sua città.
La cameriera entrò e trovò Colette quasi al buio, con le sue scartoffie in mano e lo sguardo fisso in un punto lontano.
Lascia le tende aperte, disse Colette, e non accendere il lume, c’è ancora un po’ di luce…
Bibliografia:
Colette, Mi piace essere golosa, Voland;
Colette, Camera d’albergo, Passigli.