Da qualche tempo gli editori hanno smesso di rispondere agli esordienti che mandano i loro manoscritti. Forse perché pensano che il silenzio sia d’oro, come si dice, oppure per evitare di essere citati in futuro all’interno di articoli come questo, o semplicemente perché non hanno tempo. Leggere e scrivere sono dei lavori faticosi.
Ovviamente ricevere una lettera di rifiuto da un editore fa male a tutti, ma è meglio sentirsi dire chiaramente cosa l’editore pensa del tuo romanzo, oppure rimanere nel dubbio che non l’abbia davvero letto e che forse un giorno gli capiterà finalmente tra le mani e potrà scoprirne il valore?
La storia dei rifiuti editoriali sembra fatta apposta per aiutarci a rispondere a questa domanda.
Facciamo così, ve ne scrivo qualcuno di seguito e poi decidete voi.
Nell’immagine che vedete qui sopra, ci sono due lettere di rifiuto ricevute da J.K Rowling, quando dopo l’enorme successo dei suoi romanzi ha spedito agli editori per pubblicarlo il manoscritto di un romanzo con lo pseudonimo di Robert Galbraith. La Rowling le ha mostrate su Twitter.
La cosa più buffa è che la casa editrice Constable & Robinson le ha scritto: “A writers’ group/writing course may help with the latter” cioè le suggeriva di seguire un corso di scrittura. È stata molto pietosa la scrittrice a cancellare la firma dell’editor che le aveva risposto.
La Rowling ha poi dichiarato invece che aveva attaccato la prima lettera di rifiuto ricevuta per Harry Potter sul muro della cucina, perché finalmente aveva qualcosa in comune con i suoi scrittori preferiti: il fatto di essere stata rifiutata, insomma.
Alfred Humblot, della casa editrice Ollendorff, si prese la briga di rifiutare La strada di Swann di Marcel Proust, scrivendo: “Forse sono duro di comprendonio ma per me è inconcepibile che un uomo impieghi trenta pagine per descrivere il suo girarsi e rigirarsi nel letto prima di prendere sonno”.
Stesso libro, diverso lettore per la casa editrice Fasquelle, Jacques Madeleine: “Alla fine delle settecentododici pagine di questo manoscritto, dopo essere annegati innumerevoli volte in quel mare di eventi insondabili, irritati per non essere mai riusciti a risalire in superficie, non ci viene concesso neppure di trovare un solo indizio di cosa si parla. Qual è lo scopo di tutto ciò? Cosa significa? Dove porta? Impossibile saperne qualcosa! Impossibile anche solo dirne qualcosa!”
Il signor Peter J. Bentley, della casa editrice Bentley & Son diede questa risposta a Herman Melville quando rifiutò il suo Moby Dick: “Per sapere: deve proprio essere una balena?”.
Il poeta T.S. Eliot allora redattore della Faber & Faber, che rifiuta il romanzo La fattoria degli animali di George Orwell perché non è d’accordo con le sue idee politiche: “Sono molto dispiaciuto, perché chiunque pubblicherà questo romanzo avrà naturalmente l’opportunità di pubblicare i suoi lavori futuri: e ho molta considerazione per i suoi lavori, perché lei è un esempio di scrittura di fondamentale integrità”.
La grande Sylvia Plath mandò un suo romanzo, La campana di vetro, sotto lo pseudonimo di Victoria Lucas alla Alfred A. Knopf e venne rifiutato: “Perché non abbastanza vero. Perché troppo palesemente autobiografico. Non vi è alcun punto di vista. Sono fatti personali mescolati insieme senza nessuna virtù romanzesca. Perché mal concepito, perché scritto male”.
Veniamo in Italia, Giuseppe Tomasi di Lampedusa rifiutato da Elio Vittorini: “Egregio Tomasi, il suo Gattopardo l’ho letto davvero con interesse e attenzione. Anche se come modi, tono, linguaggio e impostazione narrativa può apparire piuttosto Vecchiotto, da fine Ottocento, il suo è un libro molto serio e onesto, dove sincerità e impegno riescono a toccare il segno in momenti di acuta analisi psicologica, come nel capitolo quinto, forse il più convincente di tutto il romanzo.
Tuttavia, devo dirle la verità, esso non mi pare sufficientemente equilibrato nelle sue parti, e io credo che questo “squilibrio” sia dovuto ai due interessi, saggistico (storia, sociologia, eccetera…) e narrativo, che si incontrano e scontrano nel libro con prevalenza, in gran parte, del primo sul secondo.
Per più d’una buona metà, ad esempio, il romanzo rasenta la prolissità nel descrivere la giornata del “giovane signore” siciliano (la recita quotidiana del Rosario, la passeggiata in giardino col cane Bendicò, la cena a Villa Salina, “il salto” a Palermo, dall’amante, eccetera…) mentre il resto finisce per risultare piuttosto schematico e affrettato”.
Italo Calvino che rifiuta Il comunista di Guido Morselli pubblicato postumo da Adelphi: “dove ogni accento di verità si perde è quando ci si trova all’interno del partito comunista; lo lasci dire a me che quel mondo lo conosco, credo proprio di poter dire, a tutti i livelli. Né le parole, né gli atteggiamenti, né le posizioni psicologiche sono vere. Ed è un mondo che troppa gente conosce per poterlo “inventare”. Qui è la grande delusione a cui necessariamente va incontro il “genere” che Lei ha scelto, il romanzo di rappresentazione quasi fotografica d’ambienti diversi, il romanzo storico-privato. L’unica via possibile è l’autobiografia, o comunque la riflessione in cui sia ben chiaro chi è il soggetto e qual è il suo rapporto coll’oggetto che tratta; inventare – se non si tratta d’invenzione pura, cioè sempre d’autobiografia – è impossibile”.
Gianrico Carofiglio, invece, ricevette due rifiuti editoriali, prima di approdare alla Sellerio, anzi uno arrivò quando il contratto era già firmato, c’era scritto: “Non ha prospettive editoriali”.
Quando il silenzio è d’oro, appunto.