– Finalmente siamo arrivati! Papà possiamo andare a giocare lì, dove sono gli scivoli?
– Certo Feli, però state attenti ok?
Juan guarda il figlio negli occhi e con dolcezza lo carezza in testa, rovinandogli l’acconciatura. Il bambino, dopo essersi aggiustato il ciuffo – Vieni a giocare con noi papà?
– Leggo dieci pagine del libro e poi vengo, ok?
Felipe annuisce sorridendo e si rivolge alla sorella – Andiamo Mel? – La bambina, con la palla nelle mani, lo segue nell’area giochi.
Juan, dopo aver ricoperto con un telo parte di una panchina ed essersi disinfettato le mani, portando così a termine quello che lui chiama “Il rito anti-germi”, si siede. È sempre piacevole passare qualche ora al parco insieme ai figli, osservarli mentre si divertono, giocare con loro e godersi l’aria leggermente ventilata della stagione autunnale, con in mano un bel libro.
Alla decima pagina letta, si accorge che ne manca una per finire il capitolo e, intento a terminarlo, volta pagina.
Non ti sei accorto che sei già arrivato alla decima pagina? Che fai, vai avanti? Ti ricord…
– E basta Diablillo! – dice Juan – Che vuoi che succeda se ne leggo una in più o una in meno? Non ti voglio ascoltare, fammi leggere in pace!
Come vuoi, ti ricordo soltanto che ti sei prefissato di leggere dieci pagine al giorno, proprio perché i numeri dispari ti danno alla testa! Se leggi undici pagine invece che dieci, verrai perseguitato da un senso di disordine per tutta la giornata!
– E va bene! – incalza Juan – Voglio essere divorato dal senso di disordine! Problemi?
– Papà, prendi la palla!
È Melissa, la figlia, che sta correndo verso di lui. Si ferma a circa due metri dalla panchina – Papà prendila al volo!
Juan si alza e si prepara ad acchiappare la palla ma il suo Diablillo, così chiama la voce delle sue ossessioni che non riesce quasi mai a ignorare, è come al solito in disaccordo: Che stai facendo? Hai per caso intenzione di toccare quella palla sporca di terra e impregnata di germi e sudore?
Con una faccia schifata, Juan chiude gli occhi e d’istinto si sposta verso la sua destra.
– Ahia! Ho capito che so’ ciecato e non ci faccio molto con questi occhi, ma addirittura rovinarmi i connotati, mi sembra troppo!
Juan si gira per capire chi avesse parlato.
La voce è quella di un non vedente a cui la palla ha fatto saltare gli occhiali da sole. È un uomo robusto, deve avere tra i 55 e i 60 anni.
Juan rimanda la figlia nell’area giochi, dicendole di non preoccuparsi.
Si avvicina al signore.
– Mi scusi tanto segnor, non sono bravo con la palla, non l’ho presa in tempo!
– Nessun problema! È bravo a parlare da solo però, non so quanto la possa consolare!
Juan risponde con la prima scusa che gli viene in mente, quella che di primo acchito ritiene la più plausibile.
– In realtà stavo solo ripassando il copione per uno spettacolo teatrale: non sono matto!
– Sì, sì, vabbè, dicono tutti così! Ma non si preoccupi! Ogni essere umano ha qualche particolarità che lo rende matto!
Juan raccoglie gli occhiali da sole caduti.
– Tenga i suoi occhiali.
– Grazie, così magari vedo meglio! Ahahahah!
Ritorna serio.
– Deve sapere che sono cieco da quando avevo 35 anni a causa di una brutta malattia.
– Che sfortuna! – risponde Juan, ritenendo tale espressione la più adatta a quella situazione.
– No, e dov’è la sfortuna? Non posso vedere il mondo che mi circonda, ma con questi bellissimi occhiali da sole posso dormire quando voglio senza che nessuno se ne accorga! Non è fantastico? – ridacchia l’uomo.
– Sì, bellissimo! – risponde Juan, sempre più sorpreso dall’atteggiamento di quell’uomo.
– E sa cos’altro ci faccio con questi bellissimi occhi? Li uso per guadare le fantastiche opere esposte alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, dove lavoro come custode.
– Custode? Lei lavora come custode alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea? E come fa?
– Do semplicemente indicazioni alla cieca, facile! E lei invece, di cosa si occupa?
– Sono uno psicoterapeuta.
– Ahahahah! Non so cosa sia peggio: se un custode cieco che lavora in una galleria d’arte o uno psicoterapeuta che parla da solo!
– Ahahahah, in effetti ha ragione!
Il signore ritorna nuovamente serio.
– Deve sapere che io adoro l’arte. Mi sono laureato all’Accademia di Belle Arti. Da giovane dipingevo, i miei dipinti sono stati anche esposti in alcune mostre. Mi piaceva dipingere, mi faceva sentire libero, in un mondo tutto mio. Ho passato anni difficili. Poi un giorno, riflettendo, mi sono accorto di avere ancora impresse nella mente delle combinazioni di colori. Anzi, forse riuscivo a dipingere meglio nella mia mente, di quanto facessi con il pennello. Non potevo permettere che questa passione morisse con la cecità. Allora, per darle giustizia, quando mi è capitata l’occasione, ho deciso di accettare questo lavoro. Non è la stessa cosa, ma almeno… è qualcosa!
Durante la discussione Juan osserva attentamente i movimenti del signore. Mentre l’uomo parla, apre uno zaino nero poggiato al suo fianco e lo tocca in ogni sua minima parte, come per controllare il suo interno. Dopo aver effettuato tale operazione, posiziona lo zaino per terra davanti a lui.
“Che strano! Eppure, a vederlo, quello zaino sembra vuoto!” pensa Juan, ma, per paura di risultare invadente, decide di non indagare.
– Lei è un uomo esemplare! – esclama Juan.
– Papà, papà, papààà!
Felipe raggiunge Juan dall’area giochi.
– Papà, vedi laggiù tutta quella gente raggruppata?
Juan annuisce.
– È perché sta per iniziare uno spettacolo con i cani! Vieni a vedere!
Mentre il bambino lo tira per un braccio costringendolo ad alzarsi, Juan inciampa e cade.
– Oh, scusami papà, ti sei fatto male?
– No, non ti preoccupare, lo zaino del signore ha attutito la caduta.
Dopo aver mandato Felipe avanti, si rivolge all’uomo.
– Mi scusi per lo zaino, tanto era vuoto, non credo di aver fatto danni!
– In realtà ha solo schiacciato un bel po’ di depressione accumulata da anni; sa io la custodisco sempre in questo zaino.
Juan lo guarda interrogativo.
– No, non sto scherzando se è questo che sta pensando: sono particolare, come lo è lei, come lo sono tutti per qualcosa. Io, ad esempio, lo sono per il mio modo singolare di gestire le emozioni. Siccome la depressione ha deciso di rompermi sempre le scatole, mi sono munito di uno zaino, per portarmela sempre dietro, come una parte importante di me. Dovrebbe anche lei procurarsi uno zaino per quell’esserino con cui stava “ripassando il copione teatrale” a detta sua.
Qualche attimo di silenzio e i due scoppiano a ridere all’unisono.
Il cieco porge a Juan una mano per salutarlo.
Allarme mano contaminata! Allarme mano contaminata! Un’unica conseguenza: malattie in arrivo! Ma che ti è saltato in testa? Stringi addirittura la mano a uno sconosciuto?
Le mani dei due uomini si stanno per toccare ma Juan ritrae la mano.
In alternativa, fa un mezzo inchino in segno di saluto, portando in avanti il capo.
– Che succede? Ha qualche problema anche a stringere le mani?
“Ah già, il signore non ha di certo potuto vedere l’inchino! Che stupido che sono!” riflette Juan.
– Sì, deve sapere che io ho un serio problema con le mani potenzialmente contaminate da germi, l’ha detto lei, sono matto! Può allungare per favore le mani in avanti?
Juan prende il suo flaconcino di alcol portatile e ne spruzza un bel po’ sulle mani del cieco.
Poi, con molta naturalezza, come niente fosse, gli stringe la mano.
Juan si allontana dalla panchina, diretto all’area giochi.
– Grazie mille Diablillo, oggi hai proprio dato il meglio di te: mi hai fatto diventare completamente matto, e il signore mi ha anche scoperto! Ti rendi conto?
Non mi devi ringraziare: è il mio lavoro!