Passeggiare nella neve

Dopo così tanti anni, le sembrava di sentire l’odore di legna bruciata che si spandeva per le strade del paese, il soffio gelido del vento e il suono delle campane.

Dalla finestra Natalia Ginzburg guardava la neve cadere e posarsi leggera sui rami spogli dell’albero di fronte casa.

La neve a Roma aveva un sapore strano, fatto di clacson impazienti, voci alterate e odore di benzina.

Le tornò in mente il paesaggio innevato di Pizzoli, il paesino vicino L’Aquila dove aveva vissuto per tre anni con suo marito Leone, condannato al confine da un tribunale fascista.

Nel 1940 Natalia aveva ventiquattro anni e due figli, la loro terzogenita, Alessandra sarebbe nata in Abruzzo. All’epoca Pizzoli era un paese di muratori, uomini che sparivano dopo gli ultimi raccolti per andare a lavorare a Terni, a Sulmona o a Roma, restavano quasi solo vecchi, donne e bambini.

La famiglia Ginzburg si era sistemata in una casa sulla piazza, tra il Municipio e corso Sallustio, seguita dagli sguardi dei paesani, incuriositi da quella strana coppia che amava passeggiare per le vie innevate con i bambini al seguito, incuranti del freddo.

C’era voluto un po’ prima che Natalia prendesse confidenza con le pizzolane, le sembravano tutte uguali, quasi tutte sdentate per il cibo poco nutriente, le continue gravidanze e gli allattamenti senza sosta.

Dopo poco, però, Natalia riconosceva per strada Assuntina, andava a fare visita a Secondina e si scaldava al fuoco nella cucina di Addolorata. E poi c’era Crocetta, la ragazzina di quattordici anni che veniva a servizio da loro, pulita e ben pettinata, che raccontava ai bambini lunghe storie di morti e cimiteri.

Ancora adesso, dopo così tanti anni, le sembrava di sentire l’odore di legna bruciata che si spandeva per le strade del paese, il soffio gelido del vento e il suono delle campane.

A pochi mesi dal ritorno a Roma Leone era morto nel carcere di Regina Coeli, in seguito alle torture subìte dai nazisti, e Natalia si era chiesta spesso se tutto quell’orrore fosse accaduto proprio a loro, che pochi mesi prima erano nella loro casa in quel paese sperduto, intorno alla grande stufa verde, i bambini con i giocattoli sparsi sul pavimento e Leone intento a scrivere, curvo sul tavolo da pranzo.

È stato il tempo migliore della mia vita, pensò Natalia, lo so solo adesso che l’ho perduto per sempre.

Bibliografia

Natalia Ginzburg, Un’assenza. Racconti, memorie, cronache 1933-1988, Einaudi;

Natalia Ginzburg, Mai devi domandarmi, Einaudi.

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