Il non detto

Il non detto è una questione fondamentale per ogni narratore, per ogni drammaturgo, è una grande risorsa della letteratura, ma è anche una gatta da pelare.

Come si lavora sul non detto? Il non detto, già, il non detto è una questione fondamentale per ogni narratore, per ogni drammaturgo, è una grande risorsa della letteratura, ma è anche una gatta da pelare, come si dice… viene impiegato al meglio, il non detto, da scrittori di short-story come Hemingway, Carver, Richard Yates… E tanti altri. Racconti in cui manca sempre qualcosa – una frase, una figura, ecc. – il non detto è tutto ciò che in una storia esiste ma viene omesso, taciuto, dal narratore, dai suoi personaggi. L’omissione crea delle lacune, delle ellissi, degli spazi vuoti che deve riempire il lettore con la sua immaginazione. Quindi sono importanti, significativi, quegli spazi vuoti, sono importanti come il detto e anche di più. Sono importanti moltissimo nelle storie di genere. Il giallo, il noir, e per certi versi anche il genere gotico o horror, che prosperano nelle zone d’ombra, nelle allusioni, negli enigmi, nel mistero. Il lettore, se manca un tassello dal quadro, tende a farci caso: se per esempio abbiamo un boxeur che raccontandosi non parla mai della paura, o della fame, possiamo supporre che ne abbia tanta, dell’una e dell’altra, e che quei temi siano per lui un tabù, per questo evita di parlarne. Come in quello splendido racconto di Jack London Una bistecca, lo conoscete? Tom King è un pugile ormai sul viale del tramonto, che deve combattere contro una giovane promessa della boxe, un match decisivo per la sua sopravvivenza e per quella della sua famiglia, ma a causa della sua condizione di indigenza, della fame, è stanco morto. Tom King ha nocche tumefatte, il naso rotto, orecchio deforme, la bistecca del titolo è quella che la moglie non è riuscita a procurargli per la cena prima del match; nessuno ha voluto farle ancora credito. Se volete leggerlo, cercatelo nelle raccolte di racconti di London in circolazione. E con l’occasione leggetevi anche gli altri suoi sul pugilato, e già che ci siete anche quelli sugli animali, sui lupi, sui cani da slitta. Sono magnifici. E insegnano molto sull’arte del non detto, sull’arte del narrare.

Un esempio eclatante del non detto si trova nel Processo di Kafka, nel quale la lacuna arriva addirittura a nascondere/rimuovere il tema stesso della storia: il lettore del Processo non sa quale sia la colpa del protagonista.

Esiste una figura retorica del non detto, sapete: si chiama preterizione (dal latino passare oltre, tralasciare, omettere), che consiste nell’affermare di voler passare sotto silenzio una cosa nel momento stesso in cui invece la si nomina, dandole così maggiore rilievo. “Non ti dico poi che cosa è stato…”.

Non lo si dice ma proprio in virtù di tale reticenza, di tale omissione, si dà enfasi alla cosa, mettendo la pulce nell’orecchio nell’interlocutore (o nel lettore), si desta l’attenzione e si comanda a chi ci sta di fronte, a chi ci legge, di ragionare sul non detto. “Ho una notizia sensazionale, ma non posso dirtela!”, ecco un esempio di preterizione usata in una pubblicità.

Come esercizio scrivete un breve racconto che abbia il non detto come punto di forza.

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Andrea Carraro

Andrea Carraro, scrittore, nasce a Roma. Se avesse ricevuto un euro ogni volta che sui media hanno usato il termine “il branco” per parlare di uno stupro di gruppo, citando il titolo del suo romanzo più noto, oggi sarebbe ricco. Invece è “solo” uno scrittore tra i più bravi. Romanziere, autore di racconti e di poesie, nasce a Roma nel 1959. Ha pubblicato i romanzi: A denti stretti (Gremese, 1990), Il branco (Theoria, 1994), diventato un film di Marco Risi, L’erba cattiva (Giunti, 1996), La ragione del più forte (Feltrinelli, 1999), Non c’è più tempo (Rizzoli, 2002) (Premio Mondello), Il sorcio (Gaffi, 2007), Come fratelli (Melville, 2013), Sacrificio (Castelvecchi, 2017) e le poesie narrative Questioni private (Marco Saya, 2013). Ha pubblicato anche due raccolte di racconti, confluite nel volume Tutti i racconti (Melville, 2017). I suoi giudizi critici, sensibili ma affilati quando serve, lo rendono un lettore del cui parere fidarsi con tranquillità.

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