Per scrivere racconti si deve avere il dono della sintesi. Se non ce l’hai innato, procuratelo. Come? Esercitandoti in quella direzione. Per esempio, prendi il racconto che hai appena scritto, riducilo della metà, senza snaturarlo, senza perderti niente per strada in termini di trama, immagini, sequenze importanti, ritmo della pagina… Poi riducilo a un quarto. E vedi che effetto ti fa rileggerlo – a voce alta – nelle diverse versioni. E potresti avere delle sorprese. Oppure scrivi direttamente un racconto in un certo numero prefissato di parole, come succede di dover fare quando te lo commissiona un giornale. Un racconto breve di cui sono particolarmente orgoglioso, lo scrissi per la pagina culturale di un grande quotidiano, il tema era obbligato: doveva essere sulla Festa degli innamorati, il 14 febbraio. Avevo a disposizione poco spazio, mi avevano dato un limite anche più risicato del solito – due cartelle e mezzo forse. Dopo aver scritto il racconto, di una decina di cartelle, feci quel famoso discorso della riduzione progressiva e il racconto venne benissimo. Molto meglio della prima versione. Tagliai tutti gli orpelli sentimentali e cronachistici.
Per scrivere storie brevi bisogna scrivere nel modo più stringato e diretto possibile, con un numero ridotto di parole e di immagini; con un numero limitato di personaggi, oltre al protagonista, che devono essere tutti memorabili. Evitate di descrivere le emozioni, gli stati d’animo, la psicologia dei personaggi con espressioni ovvie, usurate, come “era triste e solo”, “scoppiava di felicità”, “aveva il cuore a pezzi” o simili: in generale non dichiarate i sentimenti. Concretizzateli in una figura che resti in mente, in un particolare, e riempitelo di significato. Cioè inventate una specie di metafora, utilizzando il cosiddetto “correlativo oggettivo”. Il correlativo oggettivo è un concetto poetico elaborato dal poeta Thomas Stearns Eliot che lo definì come “una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi pronta a trasformarsi nella formula di un’emozione particolare”. Esso consiste nel rappresentare sulla pagina una determinata sensazione o emozione attraverso alcuni oggetti concreti che dovrebbero suscitare nel lettore ciò che prova il poeta.
Visualizzate nella mente il racconto prima di dargli una forma scritta e cercate un dettaglio che avvii la storia il più vicino possibile al punto di svolta o al suo punto culminante (climax). La prima frase del racconto è di fondamentale importanza. Pensateci bene, non mettetene una qualunque. Riflettete che è l’origine di tutto, quella frase. Lo stesso dicasi per l’incipit del racconto, cioè le prime dieci o quindici righe, che debbono essere un’esca forte per il lettore e invogliarlo a continuare la lettura.
Dovete decidere pure chi è tra i personaggi quello giusto a cui affidare la voce e il punto di vista, in base a cosa pensa, che ruolo ha, cosa deve fare. Altrimenti possiamo decidere di raccontare la storia da un punto di vista esterno, oggettivo.
I personaggi hanno vissuto cose che non figureranno nella nostra narrazione, ma che li hanno portati fino al punto dal quale partiamo per raccontare. Eventi, situazioni che noi dobbiamo conoscere bene.
Uno dei modi per creare un personaggio in poche parole è il dialogo. Per scrivere un dialogo che funziona nello spazio ristretto di un racconto bisogna che porti avanti l’azione. L’azione in un racconto è tutto.
Riassumendo: Del mio personaggio non devo dire tutto, ma debbo sapere tutto, come è e cosa pensa.
Ci sono due modi per caratterizzare un personaggio, come sappiamo. Un modo indiretto: descrivendolo. E un metodo diretto: attraverso i dialoghi e le azioni. Il secondo in linea di massima è preferibile al primo.
Una regola drammaturgica che proviene un po’ dalla Poetica di Aristotele, un po’ dal cinema, ci dice che una buona storia è divisa in tre atti (un’architettura che attinge dall’inconscio individuale e collettivo, ricalcando lo schema del “viaggio dell’eroe”). Il primo in cui si presentano luoghi e personaggi, ponendo le basi di una tensione fra loro. Il secondo in cui avviene l’esplosione del conflitto. Il terzo che contiene la risoluzione della crisi. Ovviamente, come ogni regola può essere trasgredita, mantenendo tuttavia sempre alta la tensione, che crea il movimento e quindi la capacità di catturare l’attenzione di chi legge.
Il movimento in un racconto può venire anche, molto, dalla punteggiatura. In alcuni scrittori la punteggiatura va a incidere parecchio sullo stile (per esempio Hemingway).
Bisogna leggere e rileggere il proprio racconto. A voce alta, per sentire il respiro delle frasi.
La riscrittura – o revisione o editing – è un momento importantissimo nella lavorazione di un racconto. Correggendo integreremo qualcosa che manca, ma soprattutto taglieremo il superfluo.
Dopo aver terminato il vostro racconto, fate passare un po’ di tempo in modo che quello che avete scritto possa ossigenarsi, come un vino.
Esercizio: prendete l’ultimo racconto che avete scritto e riducetelo della metà. Poi confrontate le due versioni.