Ricordo il giorno in cui Lié Larousse mi mostrò per la prima volta questo suo testo profondo e complesso, dalla scrittura densa e al limite della sperimentazione, capace di tentare l’esplorazione di una mente confusa, ottenebrata e smarrita. Il lettore ne scopriva i meandri e lo attraversava con la consolazione che in fondo si trattava di una storia dell’800. E però gli restava il dubbio che potesse riguardare anche il nostro tempo. Ora il romanzo è uscito per i tipi dell’Erudita di Perrone Editore con il titolo Rid Dementia, e quindi è venuto il momento di fare quattro chiacchiere con l’autrice.
Che cos’è il Rid Dementia?
Rid Dementia è il nome del metodo curativo sperimentato e creato dal Professor Fabio Amedeo Mari Neuroanatomo e Neuropsichiatra, protagonista del romanzo, è anche il nome del manicomio di cui è proprietario, luogo che dà vita alla narrazione. Il Rid Dementia inoltre è la nostra mente, labirinto di illusioni e sogni, ossessioni e caos, dove è facile perdersi.
Ha una base realistica?
Sì, nel romanzo ci sono più piani di realtà, in alcuni gli accadimenti sono realmente avvenuti. Al lettore lascio la scelta di decidere quali.
Cosa ti ha spinto a interessarti dei temi di cui parla Rid Dementia?
La vita, mia e quella di molte persone che conosco ma anche di persone del passato che ho incontrato nei libri e nei racconti dei miei nonni.
Scrivi nell’avviso al lettore che la storia non ha termine, temi che possa esserne deluso?
Deluso no, il mio anticipare che non esiste una fine del romanzo e che sarà lui a definirla è un voler mettere in guardia il lettore nell’essere attento durante la lettura a ciò che sta leggendo, perché se vorrà, sarà lui a scrivere una fine, quella che reputa più giusta, alla storia narrata in questo libro. È un invito a sedersi su una poltrona che potrà essere a volte scomoda, come a volte è scomoda la vita, ma è la nostra e abbiamo il dovere di viverla. Fin da bambini ci mettono in guardia che potremmo farci male, molto male da rischiare di morire, nessuno ci mette in guardia di vivere con grande attenzione ogni istante della nostra vita, perché quando e come finirà, in fin dei conti, nessuno lo può sapere.
Perché hai scelto un periodo così antico per ambientare questa vicenda?
Perché l’essere umano non impara mai dai propri sbagli, e non usa le competenze acquisite nel tempo per migliorare se stesso e il mondo, o almeno la maggior parte di noi, quindi sembra ch’io abbia voluto ambientare la narrazione in un’epoca lontana dalla nostra, per cultura e costumi, ma è solo apparenza perché leggendola scopriamo che non è poi così diverso quel mondo dal nostro con i suoi accadimenti: furto d’identità, violenze fisiche e psicologiche, gelosie, invidie, e altro ancora.
L’800 è per te un momento per eccellenza della comparsa del delirio mentale?
Non è tanto il momento per eccellenza della comparsa del delirio mentale o dell’isteria, ma lo è del suo essere preso in considerazione in quanto malattia invalidante dovuta da cause a prima vista inspiegabili, con il conseguente bisogno di sperimentare cure libere dai preconcetti del pensiero teologico filosofico che, fino a buona parte della prima metà del Settecento, relegava l’idea della follia, specialmente quella femminile, ad una mancanza di fede ed impegno domestico e quindi contestualizzava tutto in un contesto socio-religioso.
Sei stata molto abile a descrivere la confusione mentale dei personaggi che sembrano attraversare una continua nebbia, perché sono in questa condizione?
Molto spesso ci sentiamo confusi, ci sentiamo persi, fuori luogo anche in situazioni che noi stessi abbiamo contribuito a creare, perché? Molto spesso abbiamo tutto ciò che vogliamo ma ci sentiamo infelici, insoddisfatti, inappagati, addirittura soffriamo di attacchi di panico, siamo ansiosi, abbiamo continui mal di testa, e siamo stanchi, affranti e cadiamo in depressione, perché?
Perché non ci ascoltiamo, non ascoltiamo ciò che il nostro cuore e la nostra anima vogliono per noi, ciò per cui siamo venuti al mondo, la nostra missione di vita non la conosciamo, non la conosciamo perché viviamo nella mente e la mente mente, allora ci facciamo manipolare dal volere altrui convinti del contrario ed iniziamo a percorrere un cammino nel buio pesto dove spiragli di luce sono sfocati da un paio di occhiale da vista che indossiamo, ma non sono i nostri, perché noi ci vediamo benissimo, ma vogliamo ciò che ha qualcun altro perché è più facile emulare la vita altrui che avere il coraggio di accettare chi siamo e vivere la nostra.
Hai utilizzato la seconda persona, un tu che esplora le azioni e la mente del personaggio, perché questa scelta?
Perché spero che con l’uso della seconda persona singolare ogni lettore si senta Fabio Amedeo Mari, e quindi il protagonista di questo romanzo, imparando a sentirsi e a volersi unico protagonista della propria vita.
È anche la storia di una feroce rivalità professionale, ne vedi intorno a te?
Assolutamente sì, da sempre, in tutti gli ambienti lavorativi che ho frequentato, e in quelli che mi vengono raccontati.
Chi è Lumas?
È il grande segreto del nostro protagonista ed uno dei simboli presenti all’interno delle pagine di questo libro.
C’era qualche romanzo che leggevi mentre scrivevi questa storia?
Ho letto moltissimi romanzi e studiato psicologia clinica e sociale, dal 2014 al 2021 anno dell’ultima stesura e dell’invio all’editore. Senza la lettura e lo studio questo romanzo non sarebbe mai nato. Lo studio della psicologia è stato imprescindibile per la veridicità dei fatti, luoghi e metodi sperimentali curativi, così come la planimetria del sanatorio risale ad uno dei primissimi manicomi. La lettura dei romanzi è per me necessaria a prescindere da questo romanzo, che comunque prende vita mentre raccoglievo poesie e racconti diventati poi altri libri, perché prima di tutto io sono una lettrice, da sempre, i primi libri letti li prendevo in prestito dalla libreria di una mia carissima zia materna, e i romanzi letti durante le varie stesure di Rid Dementia, non avevano sempre a che fare con il genere thriller psicologico o gotico che caratterizza il mio libro, ma erano storie che mi portavano altrove, lontanissima dal Rid, perché non diventasse un’ossessione ma un amore voluto e sempre rinnovato ogni volta che tornavo da lui e lui tornava a me.
Qualche maestro che ti ha ispirato?
Maestre di vita e di scrittura moltissime: Lou Von Salomé, Virginia Woolf, Gala Dalì, Lalla Romano, Dacia Maraini, Maria Rita Parsi, Allende, Yourcenar, Calloni Williams, Antonia Pozzi e molte, molte altre. I grandi maestri: Keats e Leopardi.
Questi personaggi sembrano avere comunque un destino crudele…
Il destino non è mai crudele, e sicuramente non lo è con questi personaggi, è crudele il nostro non accettarlo e fare di tutto perché non si compia, piuttosto che accogliere la vita con la sua sorte, si preferisce giocare di anticipo agendo con crudeltà contro di noi e contro gli altri.