Chi – come me – tiene una rubrica d’interviste agli scrittori, quando pubblica un libro (il mio più recente s’intitola Il colore del tuo sangue edito da Arkadia/Sidekar 2022) si trova di fronte due strade. La prima è quella di glissare elegantemente, non fare nulla, essere superiore e far finta che il proprio libro non sia uscito. La seconda è quella di cercare in giro qualcuno che l’intervisti. Insomma, chiedere ma non domandare, non cercare risposte, piuttosto domandare domande. Il che è anche un po’ buffo. Ma comunque quello che gli manca è l’intervista nella propria rubrica. E che? Io faccio le interviste agli altri e nessuno le fa a me? Insomma, sono io un uomo senza domande, orfano dell’intervistatore, privato di qualcuno che abbia letto il libro e ne chieda con curiosità conto a chi l’ha scritto? C’è comunque una bella tradizione di scrittori che parlano con sé stessi. Per esempio: Oriana Fallaci con il didascalico titolo Oriana Fallaci intervista sé stessa, aggravato da un poco tranquillizzante titolo accoppiato L’apocalisse. E poi Eugenio Scalfari: Incontro con Io, dove più che un’intervista c’è un’esplorazione di sé. Del resto, forse a cominciare la moda (almeno che io sappia) è stato nientemeno che Marco Aurelio Antonino Augusto, cioè l’imperatore Marco Aurelio con il suo libro Colloqui con sé stesso. Ma io voglio oggi inaugurare un nuovo genere (suggeritomi in realtà da David Foster Wallace in una delle sue Brevi interviste con uomini schifosi, libro imperdibile). Voglio chiedere al lettore di farsi le domande che potrei essermi fatto io, cioè pubblico solo le risposte e lascio a chi legge la fatica di indovinare da quali quesiti sono nate. Inauguro quindi il genere “interviste senza domande” che immagino non durerà quanto i colloqui di Marco Aurelio, ma finirà appena troverò uno che m’intervisti. Fate voi le domande, io di mio ci metto le risposte.
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La ringrazio per la domanda. Non è vero che ce ne siano troppi, e poi penso che siano utili, anzi necessari. La narrazione è il modo in cui la specie umana racconta la sua realtà naturale, la sua animalità. La poesia narra o vuole narrare il sublime, saggi e studi ci rassicurano sulla nostra intelligenza di “homo sapiens sapiens”, solo il romanzo quando è un buon romanzo ha la necessaria naturalezza di ricordarci il mistero consueto della vita umana. Qualcuno nasce e muore subito. Qualcuno è ricchissimo, qualcuno è misero. Qualcuno è forte, qualcuno è debole. Cose che accettiamo per quanto riguarda le piante e gli altri animali, perfino per i popoli e le nazioni, ma non riusciamo ad accettare per noi singoli umani. Insomma, solo la narrazione descrive onestamente chi siamo e riesce talvolta a farcelo sopportare.
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Credo che la figura del filmaker sia perfetta per raccontare il nostro tempo. È una persona che guarda il mondo attraverso la sua telecamera, può lavorare in televisione o nel cinema ma è un individualista che fa tutto da solo, fa le riprese, fa il montaggio, spesso ci mette anche la sua voce e poi con la leggerezza dei suoi strumenti, spesso gli basta uno smartphone, riesce a intrufolarsi in molte situazioni dove gli altri con i mezzi tradizionali non entrano.
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Mi piaceva così, senza trattino, anche perché il trattino quando pronunci la parola non si sente.
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A questa domanda sinceramente preferirei non rispondere.
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L’idea che nella storia ci sia un pericolo che rende la tensione più forte è essenziale in tutta la letteratura secondo – per esempio – Raymond Carver. E una ragazza che si ritrova accusata di omicidio mentre c’è un assassino in giro mi pareva un’idea interessante per dare un giro di vite alla storia (come diceva Henry James).
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Mi aspettavo questa domanda. Quando ho scritto la prima scena ho chiamato il personaggio Greta Scacchi, non sapevo nemmeno perché. Poi l’ho capito, era il nome giusto per quello che stavo scrivendo. Ma poi di questa scelta se ne accorgono tutti perché è un’attrice abbastanza famosa. In un altro romanzo ho usato il nome Andrea Brighi. È quello di un calciatore non troppo noto e infatti non l’ha notato nessuno. Però mi piace che i nomi abbiano una certa risonanza nella mia mente, in un modo che non so nemmeno bene, evocativo, quasi misterioso, in fondo la narrativa non si può spiegare del tutto, resta sempre un fondo visionario anche nelle opere apparentemente più realistiche. I nomi mi devono risuonare nella testa. Ah, e poi nella storia spunta a un certo punto anche il nome Marina Suma, ma quello è proprio un “gioco” rivolto a chi lo capisce
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Bel quesito. Il sangue è ovviamente carico di significati simbolici e in più è essenziale per la nostra vita, ma in quest’epoca mi sembra assumere anche altri significati, è nel sangue che scopriamo la carica virale, per esempio. E poi mi colpisce questa idea della cittadinanza per sangue, lo ius sanguinis, come se ci fosse un’identità nazionale davvero legata a quel liquido rosso che è più o meno uguale per tutti. E potrei andare avanti.
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Io sono un fifone, quindi ho molte paure, spesso pure stupide. Quindi se scrivo un romanzo di questo tipo, cioè un giallo noir, o per meglio dire, secondo me, un thriller, cerco di pescare nelle mie ansie e nei miei timori per scovare scene che innanzi tutto facciano spaventare almeno un poco me, e poi anche il lettore. Ma in fondo questo romanzo non è poi così spaventoso.
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Ancora con questa domanda. La prego, ho già detto che a questa non rispondo.
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Ovviamente centomila copie, ma tutto sommato anche il gradimento dei lettori non sarebbe male. E pure quello dei critici. Mi piacerebbe vendere come Fabio Volo ed essere amato come Proust. Ma nessuno dei due eventi accadrà mai.
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Il cinema ha nutrito la mia immaginazione da sempre, insieme con i romanzi e – adesso – con le serie tv. Non sono un critico e nemmeno un vero e proprio cinefilo. In più i film citati nel romanzo non sono i “miei” film ma quelli di Greta, la protagonista della storia.
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Sono convinto di scrivere sempre la stessa storia, che solo chi sa leggere bene può intravedere nella trama della scrittura, pure quando sembra che parli d’altro. E secondo me è una storia d’amore. Non mi piace il sentimentalismo, ma il sentimento, invece, sì. È necessario.
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A questa domanda non rispondo, gliel’ho già detto, anzi aggiungo che possiamo anche ritenere conclusa l’intervista. Grazie. Ma tu guarda che impertinenza!