“Aldilà” di Julia Alvarez (edizioni Black Coffee)

Per Antonia la vita ricomincia a passettini da formica, minuscoli ma inarrestabili, dopo la morte del marito

Cosa rende bello un corpo se non la storia dei dolori che lo attraversano, e della vita percorsa per arrivare da qualche parte? Un territorio sconnesso come la consapevolezza, straniante e difficile come il venire a patti con un lutto potente, incolmabile. Per Antonia la vita ricomincia a passettini da formica, minuscoli ma inarrestabili, dopo la morte del marito, proprio il girono in cui festeggiavano il pensionamento della moglie.

Una sorta di spartiacque doloroso tra quella che è la vita identitaria e produttiva e il tempo, ancora lungo da passare, oltre le lezioni universitarie. Antonia, alter ego della scrittrice Julia Alvarez, è ancora in frantumi, scomposta, intenta a riattaccarsi pezzi scollati di anima, un’anima ancora in cerca di una lingua stabile.  Antonia è arrivata negli USA da bambina, fuggendo dalla dittatura dominicana di El Jefe, insieme alle amate sorelle e ai genitori, dove ha faticato a parlare in inglese e spagnolo. Alla fine, lo studio delle parole e del potere sotteso dietro i simboli che le parole rendono comprensibili, la spinge a studiare fino a diventare una professoressa universitaria, relegando lo spagnolo a momenti di interprete o a conversazioni familiari, che, dopo la morte dei genitori, con le sorelle, diventano scambi più rari, preferendo tutte la lingua del paese che le ha accolte, quasi che nascondere le parole potesse far scomparire le difficoltà subite.

Eppure, il mondo sommerso dei clandestini di lingua spagnola bussa letteralmente alla sua porta, quando un giovane immigrato messicano, impiegato nella mungitura presso l’azienda agricola del suo vicino di casa, le chiede aiuto per far arrivare da lui la sua giovane fidanzata, attualmente ferma in Colorado, presso i cojote, che le hanno fatto attraversare il pericoloso confine con il Messico. Antonia non è mai stata clandestina, solo straniera, e il bisogno di soldi, di comprensione e di affetto di Mario ed Estela, che quando arriva in Vermont è inaspettatamente incinta e sul punto di partorire, le sembra davvero troppo difficile da gestire.

Lei ha ancora il suo lutto da elaborare. Suo marito Sam, medico stimatissimo e solidale con le persone in difficoltà è sempre dentro di lei, le sue parole come consigli o moniti che la rimproverano o la attendono al varco. Cosa farebbe Sam con tutte queste difficoltà, con clandestini bisognosi di cure, di assistenza medica che non si possono permettere? E cosa farà Antonia ora che Sam fisicamente non c’è più a sostenerla, il suo sguardo azzurro e svagato a tratti, impossibile da dimenticare?

In tutto questo emerge anche la scomparsa della sorella maggiore, Izzy, che soffre di disturbo bipolare, ha venduto la casa e sta attraversando l’America senza cellulare e con tre lama salvati dal macello al seguito.

Di fronte alle difficoltà le altre tre sorelle fanno fronte comune, e Antonia è divisa tra i suoi obblighi familiari, il suo straziante tentativo di far assumere farmaci a Izzy che riescano a diminuire il suo squilibrio psichico, e i bisogni irrimandabili dei due ragazzi messicani.

Due mondi si scontrano: quello anglosassone, pulito, intonso, fatto di rapporti causa/effetto, e quello più intuitivo, a tratti illogico e spensierato del retroterra di lingua spagnola. Le parole, insieme al potere che evocano, alle sfumature idiomatiche, raccontano di chi siamo stati, e di come vogliamo essere. Perché è sempre vero che (come dice Fabio Stassi) non si cresce in un luogo, si cresce in una lingua, e nel mondo che ci ha visto bambini, spesso lasciamo uscire la nostra parte più autentica ed esposta alle intemperie. Ma è in quel mondo che troviamo una casa aperta per noi quando fa freddo e buio. Le luci accese di colpo e la porta che ci offre riparo e calore.

Il corpo ricomposto dopo essere stato fatto a pezzi ricorda l’arte giapponese del kintsugi, che consiste nel riparare con sottili lamine dorate le fratture. Spesso siamo così. Pronti a far entrare la luce dalle crepe.

Tutto ciò che rompe nella caduta viene riassemblato, arriva un pennello a correggere ogni suo errore e le linee dorate spiccano come le frasi più belle delle poesie, delle storie che ha adorato, a riprova del danno fatto.

L’oggetto fa il giro dei presenti, ognuno dei quali sfiora con le dita le frastagliate linee dorate, il danno reso visibile. Quelle linee raccontano la sua storia. Dicono che è stato rotto.

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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