Di Ilaria Palomba posso dire di aver seguito buona parte della sua produzione, che spazia tra romanzi realistici, esistenziali, psicologici dalle venature fantastiche o avveniristiche, opere saggistiche e raccolte poetiche, con editori che danno grande attenzione alla cura e alla qualità dei loro libri, come Gaffi, Meridiano Zero, Perrone, ecc. Per questo mi ha colpito la scelta di pubblicare un suo nuovo lavoro solo sul web. Terrafelice è un’opera ambiziosa, scritta senza fronzoli ma con immagini visionarie che spalancano al lettore in modo spesso improvviso una profezia spietata sul futuro. Nel testo si può osservare probabilmente tutta la poetica di Palomba, il suo tentativo di fare una narrativa che coincida con l’umano, un romanzo filosofico – se vogliamo chiamarlo così – che non racconti una storia soltanto ma alluda continuamente all’essere umano e al suo essere nel mondo, alle forme drammatiche della vita sulla Terra, soprattutto oggi nell’età in cui la tecnica sembra aver preso il sopravvento sul resto delle esperienze possibili. I suoi interessi vasti, che spaziano dall’arte contemporanea alla filosofia si intrufolano, anzi prendono possesso delle sue pagine, offrendo al lettore un risultato sempre sorprendente, che magari potrà non piacere a tutti, ma che è essenzialmente appassionato e potente. Leggendolo mi sono accorto che ne conoscevo già qualcosa, perché ne avevo seguito un tempo il primo inizio della scrittura. Quindi mi è parso naturale chiedere a Ilaria Palomba di rispondere a qualche domanda sul suo lavoro. Ed ecco qui, domande e risposte, per voi lettori. Ma in più alla fine potrete seguire una performance sorprendente e drammatica, degna dell’autrice e della sua consapevolezza artistica attuale.
Ci racconti la storia editoriale di Terrafelice?
Medito di scrivere questa storia dal 2010, lo sai, ero al tuo laboratorio quando cercai per la prima volta di raccontarla, ma allora non avevo gli strumenti. L’ho scritta nell’estate del 2019 e poi ci ho lavorato per un paio d’anni, ma la prima stesura l’ho fatta di getto in due mesi, dopo aver riflettuto a lungo sul tema del metaverso e sul posthuman. Ho letto alcuni libri che mi hanno guidata, romanzi e saggi: Essere una macchina (Adelphi), L’algoritmo e l’oracolo (Il Saggiatore), Adesso di Muller (Rizzoli), 1984 di Orwell, Mondo nuovo di Huxley, Dissipatio HG di Morselli, Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Dick, Fahrenheit 451 di Bradbury, e tra i contemporanei Necropolis di Tedoldi (Chiarelettere) e La vita riflessa di Aloia (Bompiani). Poi ho letto le riflessioni su Black Mirror di Attimonelli e Susca: Un oscuro riflettere (Mimesis) e qualche puntata della serie. Così nasce Terrafelice. Non ha girato molto tra gli editori. Ho ricevuto quattro rifiuti e due proposte di pubblicazione. Le proposte sono arrivate quando avevo già messo online il romanzo breve, o novella che dir si voglia e, insieme al mio agente, ho pensato fosse interessante – per un romanzo che parla fondamentale di virtuale – essere diffuso solo virtualmente. Nel giro di pochi giorni il testo è stato fortemente voluto da una casa editrice e rivista bosniaca, tradotto da Jerman Jakupi e pubblicato a puntate da Anna Dumpor.
Scegliere di pubblicare in rete è una sconfitta per uno scrittore oppure è soprattutto una sperimentazione?
Una sperimentazione. Ma anche un atto di autodeterminazione. Ultimamente ho letto un libro molto molto bello che affronta gli stessi temi di Terrafelice, con toni diversi, si tratta di 2119 di Sabina Guzzanti. Leggetelo di corsa!
I lettori ti hanno seguita sul web? Sei soddisfatta?
A oggi 220 visualizzazioni e alcuni messaggi in privato, molti hanno letto i primi capitoli, alcuni sono arrivati alla fine. L’esperimento prosegue. Il testo è sempre qui ed è protetto da copyright:
https://romanzionlinefree.blogspot.com/2021/11/terrafelice.html?m=1
Hai scritto che Terrafelice è per te una fiaba sul “post-human”, cos’è il post-human?
Una corrente di pensiero attenta al rapporto tra l’uomo e la tecnica nel tentativo di ripensare la natura stessa dell’essere umano in relazione all’ambiente che lo circonda secondo una visione ibridativa” definizione ufficiale. Detto così sembra un sogno. Ci mette però di fronte a un dato di fatto ormai non più eludibile: la morte dell’uomo come individuo razionale. A un certo punto della novella è inscenata la morte dell’uomo, con tanto di funerale. È chiaro che la mia è una visione scettica. Condivido questo sguardo con il filosofo Paolo Ercolani, che, riguardo alle reazioni generali in seguito alla pandemia, ha parlato di pandemenza e ritorno al pensiero magico. Credo con Spengler che stiamo andando incontro a una rinascita delle superstizioni. Allora, contrapponiamo invece il mito alle superstizioni. Ecco, una cosa importante che ho dimenticato di dire prima, è che tra le fonti di Terrafelice c’è anche il mito, l’epica: Le metamorfosi di Ovidio, l’Odissea; e la grande poesia: l’Inferno dantesco. E, non potrei non nominarlo, Così parlò Zarathustra di Nietzsche. Ma anche Il libro rosso di Jung, e tutto ciò che ho letto (quasi tutto, a dire il vero) di Cioran.
Cominci con una citazione di Huxley che considera l’amore il modo per costringere le persone ad aderire ai sistemi sociali. Funziona così anche nella nostra cultura?
Nella nostra cultura l’amore è un tabù. L’amore è il più grande tabù. Il dictat è la felicità personale, come soddisfazione di bisogni (indotti) immediati. Tutto ciò si sposa benissimo con il trionfo del più selvaggio capitalismo, il capitalismo ci vuole tutti automi narcisisti. Il mondo che ho immaginato è una grande azienda, in cui non comandano più gli uomini ma gli algoritmi, il sesso è costante e garantito, la prostituzione è di massa, l’amore è bandito proprio come l’infelicità, considerata un errore di sistema. Terrafelice non è una distopia, ma un romanzo filosofico sul presente.
Cosa pensi della fantascienza alla Philip Dick? Pensi che le distopie della narrativa tradizionale siano più culturalmente elevate?
Amo Philip Dick, e mi sono ripromessa di leggerlo tutto.
Nel romanzo chi non è idoneo al lavoro, va “ricoverato”, vedi tanti non idonei intorno a te?
Io per prima, e molti altri. Nel 2019 avevo iniziato un’inchiesta sul disagio psichico che spero di continuare e pubblicare in cartaceo prima o poi, perché il blog in cui la stavo conducendo è stato bannato dai social e censurato. In sostanza, la psichiatria sta trionfando sulla sociologia e sul pensiero. Se hai un problema sei psichiatrizzato, diagnosticato e medicalizzato, per la gioia delle case farmaceutiche. Allora, questa è la mia lotta, la lotta che ho scelto di portare avanti fino alla morte: salvare – mediante la parola – le persone dalla psichiatrizzazione di massa, dalla reificazione voluta da un sistema che premia solo chi sgomita, primeggia e si genuflette al potere. Contro tutte le gerarchie, per una diversa comprensione e rielaborazione del disagio, mediante l’arte. Se riuscirò a portare a termine gli studi universitari farò la counsellor, e porterò avanti questa visione, in opposizione al potere psichiatrico.
Viviamo in una dittatura della reputazione. Sai, non si tratta secondo me solo della dittatura sanitaria di cui parlano i no pass (visione che per certi versi, per gli aspetti legali insomma, posso anche condividere), ma di una dittatura del punteggio. Svegliamoci! La gente si suicida perché non è considerata degna di stare al mondo. Questo sistema nel mondo del lavoro si traduce con la precarietà assurta a regola, con lo sfruttamento e perfino con il lavoro gratis in nome del punteggio. Nel mondo dell’arte, con un narcisismo diffuso. Nell’editoria, bisogna pubblicare su alcuni magazine e con alcuni editori, sennò sei out. Ecco, la mia scelta di pubblicare in rete è un atto di rivolta.
Chi è la voce narrante della tua storia?
Un uomo di quarant’anni che sta dalla parte del potere, ma poi cambia strada, perché questo è il suo destino. Si chiama Diogene, come il famoso filosofo cinico, detto il cane. C’è molta ironia in questa fiaba postmoderna.
I tuoi studi filosofici trapelano dalla narrazione, come li mescoli alle tue storie?
I miei romanzi sono essenzialmente filosofici. Se si pretende di comprenderli con i parametri della narrativa non si capisce assolutamente nulla, si rischia anche di considerarli “sbagliati”. I miei romanzi, i miei racconti, portano avanti – sotto forma di narrazione – un pensiero.
C’è una possibilità di salvezza nella tua storia, infine?
Diogene viene messo di fronte a un’alternativa: entrare a far parte della memoria computazionale, quindi rinunciare alla sua umanità in nome di una collettività reificata, oppure morire, perché le condizioni climatiche fuori da Terrafelice non rendono più possibile la vita. Lui sceglie la libertà, dunque la morte.
E qui potete ascoltare e vedere Ilaria Palomba che legge il suo romanzo in una lunghissima performance di quasi cinque ore che da sola diventa una sorta di installazione d’arte contemporanea di rara intensità:
Il ritratto di Ilaria Palomba nella pagina è di Jeanne Lara Ferrara