Megan è una normale ragazza dublinese, si ubriaca, va in giro con le amiche, e cerca attenzione dagli uomini come una specie di fame. Non è una mangiauomini, piuttosto un essere umano in cerca di appagamento, e l’appagamento più potente e adrenalinico che conosce è lo sguardo di un uomo che scivola su di lei affamato, colpito. Certe volte poi, al risveglio dopo una sbornia che le lascia postumi pesanti, valuta l’umanità dell’uomo che le dorme accanto e si accorge che quello che rivela è molto meno interessante di quello che nasconde.
Tutto il suo mondo si incrina e s’infrange quando conosce Ciaran, irlandese solo da parte di padre, ma di madre danese e che dalla Danimarca ha portato una certa freddezza algida e il ricordo della sua ex Freja, che perseguita a modo di fantasma la coppia appena formata. Freja però non è solo un ricordo ma a un certo punto diventa una presenza corporea, e Ciaran, con perfetto tempismo crudele e irragionevole, dopo averle detto che la ama, lascia Megan senza una particolare spiegazione. Come tutte, Megan annega nella disperazione più assoluta e nel delirio che sono le storie interrotte senza particolare motivo, lasciandosi trasportare dalle fantasticherie nere in cui immagina di uccidere lei, o lui o entrambi, una scia rosso sangue che sbuca fuori dalla porta, come la favola di Pollicino con un finale macabro.
Così come è stata lasciata senza una spiegazione, Ciaran, torna, e noi come Megan, non sapremo mai davvero perché (possiamo immaginare che abbia ritenuto più ragionevole una storia con Megan che con Freja). Nel giro di poco vanno a vivere insieme e Megan decide di trasformarsi nella persona più accudente, più gentile e premurosa che Ciaran abbia mai incontrato, imparando a cucinare piatti esotici, studiando ricette nuove, e rinunciando (senza che Ciaran lo abbia chiesto in verità), alle serate con gli amici. Quello che vuole, e lei stessa mentre lo fa lo capisce solo in parte, è creare una sorta di doppia dipendenza, rendersi indispensabile, tirare fuori da Ciaran tutto il calore nascosto nella sua composta e immobile anima nordica.
Ciaran a volte è intemperante, brusco, le impone di bere di meno, ma a parte qualche scatto di nervi, la loro convivenza procede a strappi, come succede nelle coppie in rodaggio. A un certo punto a Megan non basta più la vita con Ciaran, ha bisogno di altri uomini, di conforto e di novità e di trasgressione, di sesso estremo e duro che trova in relazioni sottili e acuminate come coltelli che le lasciano lividi sulla pelle e nell’anima.
Esausta, stravolta dalla sua stessa debolezza e bisogno, Megan vorrà lasciare Ciaran, ma le cose tra loro si fanno più violente, sbocciando in una sorta di resa dei conti molto brutale, ma per Megan epifanica e quasi purificatrice.
Quello che la scrittrice vuole fare, credo, è un tentativo di raccontare a sé stessa i motivi reali della sua vita in cerca morbosa di attenzioni e di approvazione. Mancanza di autostima, si capisce da come narra della frantumazione del suo essere, cercando di dire al lettore che “se non esiste un ME, quegli uomini, cosa volevano toccare?
Bisogna a volte uscire da sé stessi per trovare pezzi della propria anima in giro per il mondo, magari nel mare, cercando di smettere di voler avere l’approvazione degli uomini, alcune volte invadente e non richiesta.
Megan non compie un percorso autoassolutorio, tutt’altro, quello che fa è narrare la ricerca e l’ansia di essere toccata da altre mani per avere consistenza, per essere reale, in una spirale parossistica di desideri proiettati. E non basta mai.
Pensavo che l’amore di un uomo mi avrebbe riempito così tanto che non avrei più avuto bisogno di bere, mangiare, tagliarmi, o fare di nuovo qualsiasi altra cosa al mio corpo. Pensavo che se ne sarebbe fatto carico al posto mio.
Ma adesso ero qui, proprio qui dentro, senza nessuno a dirmi cosa sarebbe successo dopo.