Margherita Bonanno: “Ho sentito il bisogno di dar voce a quelli che chiamano pazzi”

Ballerina, insegnante di danza e Body Barre, Performer Burlesque e ora scrittrice

Ho conosciuto Margherita Bonanno diversi anni fa. Era l’essere umano più simile a Trilly, la Campanellino di Peter Pan versione Disney, che avessi mai incontrato. Quando non si esibiva con il nome di Marika o Lola Lustrini nei suoi spettacoli di Burlesque, scriveva racconti. Oggi si definisce su Facebook – ed è – Ballerina, Insegnante di danza, Performer Burlesque, Insegnante di Body Barre. E adesso dovrà aggiungere Narratrice. È appena uscito il suo primo romanzo Quando tornano le rose (Round Robin Editrice 2021), una storia al femminile che esplora le ossessioni e le passioni di una ragazza, Caterina detta Cate, che sembra guidata dalle sue passioni artistiche e amorose, ma anche dalle oscure pulsioni, spesso autodistruttive, della sua mente. Ho pensato che valesse la pena farle qualche domanda per questa rubrica di interviste che cerca di pescare voci interessanti e sorprendenti della scena narrativa di oggi. Secondo me Margherita ci sta proprio bene.


Chi è Cate, Caterina, la protagonista del tuo romanzo?

Cate è una ragazza sola e ribelle, con una sensibilità acuta, maturata in seguito ad alcune vicissitudini familiari. Ha problemi di autostima e non si sente accettata dalla società, ma il problema maggiore è che deve far fronte ai suoi continui sbalzi di umore e tenere a bada i suoi pensieri… L’elaborazione del lutto paterno sarà un percorso molto faticoso che la porterà ad analizzare il suo passato. Caterina è sempre in attesa di qualcosa, qualcosa che possa salvarla, un po’ come molti giovani di oggi, disorientati.

Ti somiglia in qualcosa, oppure è un personaggio di pura invenzione?

In lei rivedo l’amore per l’arte e il lato bello della malinconia, il dolore per la perdita di mio padre e qualche situazione da esorcizzare. Mi sono ispirata ad una ragazza con la quale ho condiviso qualche mese di convivenza, durante il periodo universitario: non riuscivo a starle dietro perchè la sua mente era un turbinio di stati d’animo contrastanti. Probabilmente non ho mai capito che in realtà era una richiesta di aiuto. È una storia inventata dunque, con spunti presi qua e là, dalla mia vita e da quella di gente di passaggio.

“Io rifiutavo il senso di appartenenza e di dipendenza da social” dice Caterina, ma poi i social diventano una trappola per lei.

È il problema del secolo! Il virtuale è un rifugio, per quelli “come lei”, è l’antidoto primo alla solitudine: lì dentro ci sentiamo liberi e forti, fino a quando qualcuno non ci sbatte in faccia la realtà. Caterina non può farne a meno, nelle sue frasi è palese il bisogno di attenzioni; poi scopre, amaramente, di avere molte cose in comune con i membri di un gruppo, a cui prende parte, silenziosamente, divorata dalla paura…

Caterina ha grandi passioni, arte, teatro,  musica, e prova a entrare in questo mondo, che le succede?

Lei vuole essere qualcun’altra. Cerca sempre di dimostrare qualcosa e di raccogliere consensi. Chi meglio dell’Arte può permettere di essere ciò che non siamo realmente? E poi è una passione ereditata dal padre anzi, quasi un dovere, un compito da portare a termine per riscattare la libertà di un uomo che non ha mai avuto il coraggio di essere se stesso. Lo stesso accadrà a Giuseppe suo…

Incontrare i propri idoli è pericoloso?

Quando avevo vent’anni io, gli idoli erano poster appesi alla parete! Se avevi la fortuna di vivere in una città come Roma potevi tentare di strappare un autografo dopo un concerto o a qualche evento a tema. Oggi, sempre causa social, le distanze non esistono: possiamo sapere tutto dei nostri miti, dove abitano, che ristoranti e palestre frequentano, chi sono i familiari. È una macchina infernale che non lascia scampo. Se non hai un controllo delle tue emozioni può diventare molto pericoloso… Sono ossessioni alimentate.

“Le mie azioni, come le azioni di quelli che chiamano pazzi, sono dettate da forze esterne, incontrollabili” dice lei.

La trasformo in domanda anche io: “Le sue azioni, come le azioni di quelli che chiamano pazzi, sono davvero dettate da forze esterne, incontrollabili?” È il dubbio che vorrei lasciare al lettore, e che ho io, ancora adesso.

Questi giovani, e sempre più numerosi, pazzi di oggi, sono davvero soggetti pericolosi da “stabilizzare” o stanno chiedendo aiuto, semplicemente aiuto? Ascoltiamoli, prima che sia troppo tardi.

Che cosa  manca nella sua vita? Oppure cosa c’è di troppo?

Manca la comprensione e il rispetto dei suoi desideri, soprattutto da parte dei suoi familiari: una madre senza carattere e una sorella che ha annientato la sua autostima. Le nostre origini hanno un ruolo fondamentale: definiscono chi sarai in futuro. È un problema che accomuna molti di noi. La sfida è staccarsi dal passato e riuscire ad essere liberi. Cosa ha di troppo? La sensibilità, la capacità di cogliere sfumature in ogni cosa. Ciò comporta sofferenza. La leggerezza non le appartiene, purtroppo.

Perchè hai voluto raccontare questa storia?

Ho sentito il bisogno di dar voce “a quelli che chiamano pazzi”, al loro modo complesso di vedere il mondo, al loro essere “etichettati” e, allo stesso tempo, sminuiti. È una generazione preda di una società senza punti di riferimento, orientata alla solitudine. Ne ho incontrati tanti e tutti hanno un comun denominatore: bisogno di attenzione. E poi perché, anche io, probabilmente, avevo qualcosa da “liberare”.

Quanto ci hai messo a scriverla?

Nel 2015, ricordo bene anche il mese, era settembre, mi ritrovai in un gruppo di Facebook che racchiudeva diversi casi problematici (non voglio Spoilerare troppo!): per qualche giorno lessi i post e le varie testimonianze, donne e uomini di ogni età che si confrontavano e cercavano conforto.

Fui assalita da un senso di oppressione e tristezza, ma soprattutto impotenza davanti a tanta sofferenza. Ripensai alla mia ex coinquilina. Era un segnale. Dovevo fare qualcosa.

Il primo capitolo lo scrissi di getto, come se ci fosse stata lei accanto. Poi un lungo periodo di pausa per eventi personali durante il quale, sporadicamente, scrivevo e prendevo appunti. Poi il lockdown e la spinta necessaria per finire tutto. Adesso mi sento più libera.

Alla fine del romanzo, c’è una playlist. Cosa unisce queste canzoni?

Per molte persone è difficile esprimere i propri sentimenti, la musica lo fa per loro. Le canzoni raccontano i dettagli della sua anima, l’evoluzione del suo essere. Era de maggio è la sua speranza, il suo attendere che qualcuno possa salvarla.

Ciò che accadrà, quando le rose saranno finalmente fiorite, lo scoprirà il lettore.

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Paolo Restuccia

Scrittore e regista. Cura la regia della trasmissione Il Ruggito del Coniglio su Rai Radio2. Ha pubblicato i romanzi La strategia del tango (Gaffi), Io sono Kurt (Fazi), Il colore del tuo sangue (Arkadia) e Il sorriso di chi ha vinto (Arkadia). Ha insegnato nel corso di Scrittura Generale dell’università La Sapienza Università di Roma e insegna Scrittura e Radio all’Università Pontificia Salesiana. È stato co-fondatore e direttore della rivista Omero. Ha tradotto i manuali Story e Dialoghi di Robert McKee e Guida di Snoopy alla vita dello scrittore di C. Barnaby, M. Schulz.

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