“X” di Valentina Mira (Fandango)

La narrazione dello stupro, che la scrittrice subisce a 19 anni, e del dolore quando non viene creduta dal fratello minore

Noi donne siamo abituate ad avere bisogno di un occhio che ci rimandi l’immagine rassicurante che siamo desiderose di avere. Spesso dimentichiamo che quello sguardo può anche frantumarci in mille pezzettini, e renderci talmente sparpagliate da non sapere più dove siano nascosti quei pezzi di noi.

La storia, questa storia, è la narrazione dello stupro che la scrittrice, Valentina, subisce a 19 anni, e della sua rabbia, della paura e della vergogna. E del dolore, un dolore inarrestabile quando non viene creduta, soprattutto dal fratello minore, Andrea, che diventerà amico del suo stupratore, e che preferisce credere che quella violenza è stato solo un corteggiamento un po’ audace e niente di più.

Il viso in copertina è quello di una ragazza bellissima, la stessa Valentina, che vuole urlare la verità taciuta, il prezzo assurdo che pagano le ragazze piacevoli e molto carine, alle quali viene richiesto, quando non preteso, una disponibilità sessuale in cambio di lavoro, carriera o gratificazioni.

L’evento traumatico si consuma una sera d’estate, dopo la maturità. Valentina è un po’ brilla di dolciastra vodka a buon mercato, gusto pesca, e incontra G., un ragazzo che appartiene a un gruppo di estrema destra, croce celtica e braccio teso nel saluto romano. Una sera come tante, il caldo che asfissia, e la musica degli ZetaZeroAlfa che esce fuori dalle casse. Valentina conosce G. da tempo, nonostante la sua militanza politica è un bravo ragazzo, a lei piace. Si sono già baciati, ed è un attimo che lui la sospinga sul letto, e continui anche quando lei continua a dire no, dai non mi va, e poi a urlare no, no.

Quando tutto è finito, rimangono tracce fresche e brillanti di sangue sul letto, quello della vittima, il segno evidente di una ferita.

A Valentina resta il senso indimenticabile di violazione, e la gola serrata che le impedisce di raccontare la violenza. Dove trovare le parole per mostrare cose per le quali le parole stesse sembrano non contenere abbastanza orrore? E poi che dire alla mamma cattolica, che già aveva condannato la relazione sentimentale e sessuale della figlia, quand’era adolescente, al padre distratto e al fratello che considera G. un punto di riferimento?

Niente, le vittime non hanno il diritto di raccontare, almeno Valentina non riesce a farlo all’inizio, e quando, un mese dopo i fatti, si decide con coraggio ad andare dai Carabinieri, le viene obiettato che ormai, decorso il tempo, non ci sono più tracce di prove, visto che il suo stesso corpo contiene la prova dello stupro, e senza quelle tracce, e senza testimoni è impossibile avviare un’indagine.

La cosa più assurda è che Valentina, a notte inoltrata, riceve un invito a cena dal Carabiniere carino, che aveva ascoltato la sua confessione.

Su quel testo di messaggio mi si è chiusa la gola. Una nuova violenza che si aggiunge a quella già subita e che continua quando G. ritiene di scusarsi per essere andato troppo veloce nella storia, forse avrebbe dovuto aspettare…ma tra loro era nell’aria.

E quando Andrea passa dalla parte del nemico, scompare dietro un’ideologia che vive come una religione, e taglia i ponti con tutti, Valentina inizia a scrivere il romanzo, che è una sorta di lettera-confessione al fratello, un tentativo di riavere innocenza e complicità. La testimonianza di quello che ha subito e che ha capovolto il suo mondo, consegnandola a una giungla, dove chi la deve proteggere non riesce a farlo.

Valentina va incontro all’età adulta con coraggio, lavora e studia, va via di casa ma alcuni uomini che incontra, non tutti, solo alcuni, vogliono esercitare potere su di lei e sul suo corpo.

Sull’anulare sinistro Valentina si tatua una X, segno della sua fedeltà a sé stessa, al suo bisogno di raccontare una storia antica e nuova, fatta di vittime che si rialzano e guardano in faccia i demoni, decise a non farsi divorare.

Mentre scrivo, guardo la piccola X che ho tatuata sull’anulare. Prima, al posto del tatuaggio, c’era un minuscolo neo: mio fratello ne aveva – ne ha? – uno identico al mio.

Il vissuto che c’è dietro al tatuaggio lo racconterò qui per la prima volta. Volevo ricordarmi che posso dire di no. Che talvolta devo dire di no. Non è mai stato un concetto scontato per me e, quando l’ho realizzato, ho scelto di stringere un patto col mio corpo, per non dimenticarlo più.

X è il tabù, il rimosso. Rimosso mio, rimosso tuo, rimosso di tutti. Solo smettendo di fingere che non ci sia si può andare avanti. Questo credo.

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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