Oggi si ride amici, o meglio si ragiona su come far ridere con le parole. Possiamo usare l’ironia, oppure l’umorismo, o la comicità. Ma vediamo di intenderci sul loro significato. Allora, semplificando molto, l’ironia si rivolge a qualcuno o a qualcosa che si vuole attaccare/colpire (una persona, un’istituzione, una convinzione ecc.) Mentre l’umorismo è più “neutro” nelle intenzioni di chi ne fa uso, chi usa l’umorismo vuole divertire senza attaccare nessuno, divertire a prescindere. Entrambi hanno a che fare con il sorriso, mentre la comicità serve a suscitare propriamente il riso. Esiste poi una “comicità involontaria”, quando suscitiamo ilarità senza volerlo perché facciamo qualche svarione, diciamo qualche bestialità, usiamo le parole a sproposito. La comicità di Totò è piena di comicità (apparentemente) involontaria.
Le battute ironiche, comiche non vanno mai spiegate, perché a spiegarle perderebbero la loro efficacia e perderebbero il loro senso: non prendete mai le distanze dalle vostre battute, magari avvertendo che stavate scherzando. Se non siete sicuri della vostra ironia, fate a meno di usarla. Le battute vanno accompagnate fino in fondo, non vanno mai minimizzate.
C’è poi l’autoironia, che significa fare dell’ironia – diretta o implicita, – su noi stessi: sui nostri difetti, sul nostro aspetto fisico, la nostra pronuncia ecc. È utile per abbassare il livello delle proprie parole, per minimizzare la propria importanza, il proprio ruolo: in inglese esiste una parola precisa: l’understatement. L’autoironia è un efficace strumento di autodifesa, serve a prevenire le critiche altrui e a conquistare la simpatia degli interlocutori. Ma attenzione a non esagerare perché sminuire se stessi può diventare una civetteria.
Facciamo un esempio di umorismo, con una celebre battuta di Woody Allen:
“Quando fui rapito, i miei genitori si diedero subito da fare. Affittarono la mia stanza.”
Esercizio. Scrivete tre battute umoristiche sulla scrittura.
Alla prossima.