“Rovine” di Mat Osman (Blu Atlantide)

Un romanzo scritto dal bassista della band inglese Suede, tutto sul tema del doppio, dell’ambiguità, di quanto nessuno sia soltanto uno

Un romanzo scritto dal bassista della band inglese Suede, tutto sul tema del doppio, dell’ambiguità, di quanto nessuno sia soltanto uno, ma di quanto il movimento ci trasformi e ci porti oltre i confini, spesso fragili, delle nostre certezze, non importa di quante emozioni siamo abituati a privarci per non farci toccare dal dolore.

Adam e Brandon sono due gemelli omozigoti che non si sentono da almeno 15 anni. Brandon è quello dominante, il prepotente cercatore di luce e notorietà, ha provato a far funzionare una band, i Remote/Control, ormai sciolta da anni, a recitare in vari film, ma non è mai riuscito ad andare oltre il ruolo di comparsa. Ha lavorato come croupier in un casinò a Los Angeles. Ha una compagna e un figlio, di cui l’altro gemello ignora l’esistenza, visto il loro reciproco silenzio.

Adam non è emigrato in America come il fratello, è rimasto a Londra, nella casa inglese occupata abusivamente grazie a un decesso mai registrato. Esce molto di rado, e il suo contatto con la vita è rappresentato dalla costruzione continua del plastico, iniziato nell’adolescenza quasi per opporsi allo straripante fascino pazzoide del fratello, della città di Umbrage.

Brandon torna a Londra con in testa un progetto per fare soldi, ambizioso, crudele, senza troppi scrupoli, si lascia dietro la famiglia senza nemmeno lasciare un biglietto, e ovviamente senza dire una parola a Adam.

Sarà Rae, la compagna di Brandon, senza tener conto del fuso orario, a chiamarlo, e a dirgli che il fratello è stato ucciso, in modo inspiegabile. L’omicidio è stato ripreso da telecamere a circuito chiuso e non ci sono motivi che spieghino quella morte.

Adam è affascinato dal corpo di Rae, dalla sua storia, dal nipote, Robin, che ha 10 anni, e che a prima vista lo scambia per il padre, non sapendo nulla sull’esistenza di uno zio gemello.

Quello che succede è una sovrapposizione di ruoli, di voci, di emozioni psichedeliche che ricordano, con appena meno violenza, il migliore Bret Easton Ellis.

Rumore che si trasforma in melodia, tracce di canzoni che, ascoltate, narrano storie, o almeno visoni della storia, visto che ogni voce conserva la sua parte di verità, spesso inaccessibile.

Adam mostra Umbrage a Robin e crea un rapporto con il bambino, di cui comincia a sentirsi padre. Inevitabilmente vuole sapere la storia di Rae e Brandon. Si finge lui con i contatti londinesi del fratello, alla ricerca del passato e del progetto ambizioso di ricreare un vecchio successo musicale e una storia che crei un effetto impattante sul pubblico.

Per farlo entra nella pelle di Brandon, nella sua passione per le droghe, nei suoi meandri viziosi, nella sua abilità truffaldina e ricattatoria, fino a consumare un poco della integrità iniziale della sua stessa essenza di Adam.

Siamo veramente chi diciamo di essere, oppure, stiamo solo aspettando l’occasione giusta per riformulare le nostre priorità, i nostri desideri, le nostre ferite in controluce?

Ovviamente questo libro non fornisce risposte, è una storia. Una storia ricostruita attraverso puzzle che riportano al loro posto un paziente angolino di pioggia londinese, incessante pure a Primavera, i colori di Adam e Brandon e Rae dall’altra parte del mondo, i pappagalli verdi con il loro piumaggio che riluce sugli alberi bagnati. E ogni tanto il deserto, e il vento che solleva sabbia, e il sole che riduce in briciole una persona, facendolo morire in poche ore, gli avvoltoi che ricordano un film western, consapevoli di quanto una vita umana sia alla mercè di una natura inclemente e predatrice.

Brandon è un predatore e Adam è un uomo timido e gentile, racchiuso dietro una corazza. Ma poi il rapporto tar il vivo e il morto cambia, e quello che emerge è la contraddizione viscerale che gli esseri umani portano dentro. Luce estrema e buio spesso come un nastro.

Leggere questo libro è come assaporare succo fresco e dolce nell’afa agostana, una cosa di cui non ti stancheresti mai, e che a me ha tenuto incollata fino all’ultima pagina. Sottolineando l’equilibrio che perdiamo e che troviamo, a volte nel mezzo di una tempesta di vento.

Quale giorno il motore della relazione con Rae, che fino allora ci aveva sempre spinto in avanti, ha iniziato a girare a vuoto, e a farci rallentare? Uno di quelli trascorsi nel deserto ne sono certo. Quando eravamo a Las Vegas, ogni giorno con Rae era stato eccezionale. Anche i giorni passati a letto ad ascoltare musica era stati, almeno per me, diversi l’uno dall’altro, come persone distinte. Ma nel deserto il tempo si allungava come un’ombra. L’orologio del tuo corpo ha rallentato, Rae. Nel caldo di mezzogiorno una parola ti bastava per un’ora e spostare una sedia verso l’ombra faticavi come per una giornata intera di lavoro.

Rae suggerì di trasferirci in un posto che fosse più sano per Robin. Le montagne: l’Alberta forse, saremmo potuti andare a Denver. Io invece sarei voluto restare lì. La più sottile delle crepe nella nostra Nazione, composta da due soli individui.

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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