Ancora uno sconsiglio sul genere del Biopic. Chissà che ne avrebbe pensato Pierpaolo Pasolini del film di Abel Ferrara “Pasolini” su di lui, scritto a quattro mani con lo sceneggiatore-scrittore Maurizio Braucci seguendo un procedimento opposto alla forma classica del racconto biografico o del film inchiesta, molto più vicino allo stile filmico dello stesso Pasolini.
A me è piaciuto parecchio. Racconta per frammenti, per “visioni”, per sovrapposizioni (gran lavoro anche di montaggio), l’ultimo giorno da lui vissuto, fino alla tragica morte all’Idroscalo. Un film molto personale. Recitato bene non solo dal grande attore americano Willem Defoe che è nella parte in modo prodigioso (Ninetto Davoli, anche lui fra gli attori, ha detto più volte che sulla scena gli sembrava di rivedere Pierpaolo). Ma da tutti: anche Francesco Siciliano, perfetto misurato nella parte di un intervistatore amico, Furio Colombo cui concede la sua ultima intervista. E anche l’attrice Maria de Medeiros che fa l’estrosa e sfacciata Laura Betti, quand’era ancora magra e affascinante (mentre racconta, a casa del regista, davanti anche alla madre anziana, umile, silenziosa, interpretata al meglio da Adriana Asti, e Graziella Chiercossi – Giada Colagrande – un film dove aveva appena recitato, che era Vizi privati e pubbliche virtù dell’ungherese Miklós Jancsó, altro film scandalo di quegli anni!). Ricostruzione per me attendibile dell’omicidio (di violenza omofoba da branco partita da una marchetta: scena magnifica per come può esserlo un massacro, lui che reagisce con coraggio all’aggressione, scambia dei pugni con alcuni, non si tira indietro. Poi il branco lo massacra di pugni e calci e lo finisce passandoci sopra con la macchina. Come probabilmente è andata. Uno sguardo su Roma non banale, d’artista, sghembo, mai convenzionale, fra de Chirico e Fellini e altro. Ha molto a che fare con l’inconscio, questo film, ed essendo Pasolini un artista anche con la sua opera: soprattutto Petrolio e Salò (oltre a un progetto cinematografico incompiuto, Porno-teo-kolossal, che voleva affidare a Eduardo de Filippo), le opere su cui lavorava o aveva da poco lavorato: entrambe scandalose oscene, apocalittiche, terminali. Lui parla il minimo ma quello che dice è giusto e toccante. Profetizza più volte la sua morte: ci pensava ossessivamente. Ne esce il ritratto acceso di un artista, di un intellettuale in lotta contro la società che lo stava attaccando, processando, e che lui continuava ad affrontare a viso aperto, senza schermi ipocriti, con le sue idee radicali, suoi film su cui si accaniva la censura, e la sua omosessualità (coerentemente sarà per l’omosessualità che troverà la morte). La musica che aveva fatto da colonna sonora al suo Vangelo secondo Matteo e ad Accattone e a Mamma Roma – soprattutto la passione di San Matteo di Bach – si affaccia ogni tanto, poi sparisce, sottolineando emotivamente poeticamente certi passaggi, che sono come delle epifanie del sacrificio finale. Vi segnalo una scena preziosa: mentre sfilano i palazzi e i cieli romani come in Roma di Fellini e la Giulietta di Pasolini sfreccia nella notte un Pasolini-Defoe fuori campo legge una lettera a Moravia, in cui gli chiede di leggere Petrolio e di dargli un giudizio spassionato, confessando la sua impotenza su quell’opera proteiforme monumentale che non riusciva più a governare. Perfino in quelle righe che accompagnavano il dattiloscritto, si respira l’aria di un congedo, di un addio, di un testamento; lui ormai si sentiva fuori dal mondo, oltre la vita. Insomma, non era facile fare un film su un personaggio come Pasolini in quel momento della sua carriera per mille motivi, e Abel Ferrara a suo modo c’è riuscito, giocando anche parecchio sulla somiglianza anche nel fisico, sulla fisicità di Pasolini/Defoe; il suo è un racconto sul corpo attraverso l’omosessualità: era fatale che suscitasse polemiche e rifiuti. Di gran lunga il film biografico migliore su Pasolini realizzato finora, un film estremo, profondamente autoriale, che fa pensare a Lars Von Trier per certi versi. Molti ne hanno scritto, più nel male che nel bene. Questo è un breve estratto di una delle recensioni migliori che ho trovato: “Dentro una struttura circolare, che apre l’ultima giornata di un uomo col sorriso di sua madre e la chiude con una contrazione di inconsolabile dolore materno, Pasolini è la morte al lavoro, come sempre nel cinema di Abel Ferrara. La morte intesa come atto estremo, che monta retrospettivamente la vita di un uomo proprio come il montaggio fa con un film.” [Marzia Gandolfi, mymovies.it]
Per esercizio, guardate il film, ragionateci, scrivetene, anche male, se non vi è piaciuto (a molti non è piaciuto), per qualunque motivo. Alla prossima.