Una domanda fondamentale è per chi si scrive. Provate a pensarci. Insieme al perché si scrive. Ho provato a raccogliere qualche risposta ipotetica.
Scrivo solo per me stesso.
Scrivo per i lettori.
Io scrivo per i posteri.
Io scrivo per il mio amore.
Io scrivo contro mio padre.
Scrivo per lasciare una traccia di me in questo mondo.
Scrivo per ringraziare Dio.
Scrivo per testimoniare perché temo che i posteri non ricorderanno.
Scrivo per far rivivere qualcuno che non c’è più, per omaggiare un morto.
Scrivo contro Dio e la Religione.
Scrivo per liberarmi la coscienza, per confessarmi.
Scrivo per combattere la noia, che è diventata un altro me.
Scrivo a un me stesso più vecchio.
Scrivo per ricordare i morti di uno sterminio.
Scrivo perché mi obbligano a farlo.
Scrivo perché non posso farne a meno, è una necessità.
Per inquietudine.
Perché sono posseduto da un demone.
Sentite cosa ne pensa un grande scrittore.
Ogni scrittore è vanitoso, egoista e pigro, e alla base delle sue motivazioni c’è un mistero. Scrivere un libro è una lotta lunga, spossante, come un periodo di lunga e penosa malattia. Se non si fosse spinti da qualche incomprensibile ma irresistibile demone non ci s’imbarcherebbe mai in una simile avventura. Quel demone, per quanto se ne sa, è semplicemente lo stesso istinto che spinge un bambino a strillare per richiamare l’attenzione. Però è anche vero che non si può scrivere niente di leggibile se non si lotta costantemente per cancellare la propria personalità. La buona prosa è come il vetro di una finestra.
Estratti da George Orwell, Romanzi e saggi, Meridiani Mondadori
Esercizio, provate a rispondere in un paio di cartelle alla domanda del chi e del perché scrivete. Alla prossima.