Oriana era uscita dal palazzo quasi di corsa, le labbra serrate e gli occhi che mandavano lampi, lasciando indietro l’interprete che, con aria desolata e preoccupata, cercava di raggiungerla. L’ayatollah Khomeini aveva accettato di essere intervistato da lei (prima donna occidentale a intervistare un capo islamico) per ovvi motivi di convenienza: la giornalista famosa in tutto il mondo incontrava la guida religiosa della rivoluzione che stava cambiando il paese, l’uomo che aveva cacciato via lo Scià.
Appena messo piede in Iran Oriana si era subito accorta che della Persia di Reza Pahlavi non era rimasto niente. Alle undici di sera Teheran faceva impressione: deserta, luci spente, neanche un caffè o un ristorante aperti. La musica bandita, perché eccita gli animi, il ballo proibito, visto che per ballare bisogna più o meno abbracciarsi. In nessun locale servivano più una birra o un calice di vino, neanche agli stranieri, la pena prevista era di trenta frustate anche se ogni bottiglia di alcool era stata distrutta su ordine dell’Ayatollah, whisky, vodka e champagne per milioni di dollari.
Prepararsi per l’intervista non era stato uno scherzo: per potersi presentare al cospetto di Khomeini la giornalista aveva dovuto eliminare lo smalto e il rossetto, niente gonne o scollature, capelli raccolti, pantaloni neri, camicione nero e, su tutto, il chador, il velo obbligatorio imposto alle donne iraniane.
La cosa più assurda, però, era stato il matrimonio “temporaneo” che Oriana aveva dovuto contrarre con il suo interprete a causa di un malinteso. Un mullah l’aveva vista mentre si cambiava i vestiti per mettersi il chador nel palazzo di Quom, luogo dell’incontro; nella stessa stanza era presente l’interprete e secondo la legge in vigore in Iran se un uomo si appartava con una donna che non era sua moglie rischiava la condanna a morte per adulterio. Lo stesso mullah addetto al “matrimonio riparatore”, aveva pure sbagliato i nomi dei due “sposi” e Oriana di era ritrovata “sposata” con l’officiante anziché con l’interprete.
Accoccolata sul tappeto e circondata dalle guardie della Rivoluzione Oriana aveva osservato l’anziano religioso che le sedeva di fronte. Mani bellissime, una voce monotona, risposte evasive e gli occhi sempre bassi, non l’aveva guardata in faccia neanche una volta. Irritata dall’atteggiamento di Khomeini lo aveva incalzato con domande sempre meno gradite, come quella sul chador, imposto alle donne. La risposta dell’ayatollah era stata secca: Questo non la riguarda. I nostri costumi non la riguardano. Se la veste islamica non le piace, non è obbligata a portarla. Perché la veste islamica è per le donne giovani e perbene.
Poi aveva riso, una risata chioccia, da vecchio, aveva pensato lei. E subito tutti i presenti, tutti uomini, avevano riso sguaiatamente.
In un attimo le erano passati davanti i tormenti e le umiliazioni degli ultimi giorni: il vino negato, la farsa del matrimonio riparatore e soprattutto le donne che aveva visto per strada, chiuse in quel sacco nero, simili a sciami di pipistrelli umiliati.
Grazie signor Khomeini. Lei è molto educato, un vero gentiluomo. L’accontento su due piedi. Me lo tolgo immediatamente questo stupido cencio da medioevo. E con una alzata di spalle aveva lasciato cadere il chador che si era afflosciato sul tappeto.
Appena uscita dal palazzo si era fermata per frugare nella borsa e assicurarsi che ci fosse ancora il suo rossetto preferito, quello rosso. Le unghie urtarono contro l’astuccio metallico e Oriana, con una smorfia che era quasi un sorriso, si diresse verso l’hotel. L’intervista era già scritta, a chiudere le valige ci avrebbe messo due minuti.
Bibliografia:
Oriana Fallaci, Intervista con la storia, Rizzoli
Oriana Fallaci, La rabbia e l’orgoglio, Rizzoli.