È stata la prima presentazione di un romanzo dal vivo alla quale sono stato chiamato a partecipare, in questo inizio d’estate che ci sta faticosamente restituendo ai riti che erano soliti prima della pandemia. Basta videoconferenze, finalmente esseri umani reali e probabilmente sorridenti dietro le mascherine. E circondati da tanti amici, tra i quali molti autori che conosco da anni, si presentava il romanzo Stati di desiderio (d editore 2021), esordio nella narrativa lunga di Marilena Votta, che ha già pubblicato varie raccolte di racconti e poesie. Come sa chi ci segue, le sue recensioni su queste pagine ci portano ogni settimana un libro nuovo da scoprire e del resto Marilena Votta è una lettrice formidabile, tanto che Barbera Salsetta, della libreria “I trapezisti” che organizzava l’evento, ha rivelato di chiamarla spesso in causa quando si tratta di scegliere un certo tipo di libri. Quali? Quelli che somigliano a questo suo romanzo. Più vicino alla migliore letteratura americana contemporanea che alle nostre lettere tradizionali. Sottilmente disturbante. Che scava nella vita dell’adolescente protagonista, Daniella, giamaicana per parte di padre, italiana per parte di madre. Padre sempre in giro, che lei chiama solo con il nome, Dylan, capace di suscitare nella ragazza il senso dell’assenza e dell’abbandono, per poi tornare e riconquistarla di nuovo. Madre invece fin troppo presente, capace di accettare la filosofia anche sentimentale del marito, che non nasconde di avere altri amori, altre donne. Daniella, poi, è diversa dalle altre ragazze anche perché ha ereditato dalla famiglia paterna giamaicana il dono – affascinante e pericoloso – di vedere oltre la realtà e il tempo presente. Con questi presupposti è davvero un piacere rivolgere a Marilena Votta le mie domande per la nostra solita chiacchierata con l’autore.
Il romanzo si apre con una dedica che ho trovato molto bella: “A tutti quelli che sono a metà”. Chi sono?
Quelli che sono a metà sono quelli che hanno più di un posto che possono chiamare casa, dove casa è un linguaggio, un’origine diversa da quella del luogo dove vivono, il colore della pelle che si nota in un mondo ancora troppo bianco. Quelli che sono a metà sono quelli che hanno più patrie, e spesso sono stranieri ovunque.
La protagonista si chiama Daniella. Che donna è?
Daniella ha un nome dal suono diverso dal più familiare Daniela, perché il padre le ha dato un nome anglofono, vista la sua metà giamaicana, e comunque tutti o quasi la chiamano Dani. Daniella non è proprio ancora una donna, ha 16 anni ed è nel pieno di quella tempesta emotiva che è l’adolescenza. È ribelle, sfacciata, decisa, e come tutti gli adolescenti scopre sé stessa attraverso gli sguardi degli altri, sia che siano gentili, sia che siano apertamente critici o disapprovanti. Anzi dalla disapprovazione lei trae forza, e quando si sente mancare il respiro, reagisce con rabbia, facendo cose che rimescolano gli equilibri in gioco, specialmente quelli degli adulti. Ah, e poi è sensitiva… sente soprattutto le emozioni che i corpi esprimono e che non riescono a nascondere dietro le maschere create dalle parole.
Ti somiglia?
Mi sono spesso chiesta perché Daniella mi abbia scelto per diventare reale, almeno sulla carta, e mi dico che deve aver trovato, lei, nel mondo pensato delle storie, delle assonanze con me. Direi che mi somiglia nella sensibilità e nella passione per lo studio, ma lei è molto più consapevole di quanto lo fossi io alla sua età. E sicuramente io non ho ancora quella forza dirompente che lei ha nell’attirare sguardi ammirati. Entrambe abbiamo un senso di solitudine e di vicinanza umana al dolore, quello sì.
Secondo te Stati di desiderio è un romanzo realistico? E ha senso scrivere realismo oggi?
Non potrei definire Stati di desiderio un romanzo realistico, mi viene da definirlo, ammesso che abbia senso definire un romanzo con un genere, un romanzo di formazione fantareale. A meno che per realistico non si intenda che parla di cose che potrebbero essere reali, e allora forse, in questo senso si potrebbe dire che è realistico. Penso che abbia molto senso scrivere romanzi realistici, se lo si fa bene, se si trova una voce originale, nel narrare il disagio esistenziale o le difficoltà o anche fatti di cronaca visti da un io narrante che si trova coinvolto. Come ogni tipologia di narrazione basta che sia ben scritta.
Che uomini sono quelli che compaiono nel tuo romanzo?
Gli uomini del romanzo sono uomini come ce ne sono molti, il papà di Daniella, Dylan, è un leader, un vincitore, uno che non sta troppo a pensare al bene o al male che le sue azioni portano nel mondo, mentre Mauro, il fidanzato di Daniella, è uno sconfitto, almeno all’inizio, un rinunciatario, e grazie a quello che prova per Dani troverà coraggio, ma forse non abbastanza. Entrambi la amano con feroce intensità, ma Daniella non può accontentarsi di essere la figlia o la fidanzata, lei rivendica la sua identità personale fino a scuoterli entrambi dal loro atteggiamento possessivo verso di lei.
“I sentimenti si provano” dici a un certo punto. Non si classificano. Credi nella forza sovversiva dei sentimenti?
Certo che credo nella forza sovversiva dei sentimenti, se non ci credessi non scriverei. La scrittura per me nasce dal desiderio, che a sua volta nasce da un’agitazione interiore. Se stessi bene seduta su una sedia mangerei una mela, non userei una tastiera. E comunque quello che mi interessa narrare sono le contraddizioni, i battiti di ciglia seducenti destinati a cambiare il flusso, apparentemente ordinato, di una storia. Quindi viva le ribellioni.
Dove si ambienta la storia di Daniella, e perché?
La storia è ambientata in un borgo tra Umbria e Lazio, una specie di Paradiso con una serie di vermi che lo divorano, che tutti fanno finta di ignorare. Non saprei il perché di questa scelta, mi è sembrato che lì ci fossero varie forme comunitarie di persone molto benestanti che potessero riprodurre il micromondo abitato da Daniella. Persone che vogliono creare una parvenza di vita perfetta che poi scricchiola. E ovviamente più la cornice è idilliaca più è intenso lo scoppio emotivo che produce quando s’infrange.
Qual è la sua idea dell’amore? E la tua?
Fammi pensare… per Daniella l’amore, all’inizio, è semplicemente una forma di dipendenza, visto il rapporto di sudditanza emotiva della madre con il padre. Tanto che lei si trova a urlare che “né in letizia né in tristezza voglio essere la sposa di qualcuno”. Poi durante la sua relazione con Mauro sperimenta l’amore come un desiderio che si realizza, un modo per soddisfare una fame, o lo sfogo di un istinto rabbioso. Nel corso dell’evoluzione che avrà la loro storia Daniella capirà che l’amore è prendersi cura di qualcuno, spesso in maniera silenziosa, e capirà di essere innamorata di Mauro quando lui le dirà di essere contento del fatto che lei non sbatte più nelle porte, procurandosi dei lividi autoinflitti. Le parole gentili che lui usa per non ferirla le toccheranno l’anima. Anche per me l’amore è prendersi cura di qualcuno, senza che sia un peso ma una gioia. Camminare sollevati da terra, e vedere che l’altro ti vede, vede te, senza che sia spaventato dalle tue oscurità o infastidito dalle tue ferite.
Nella storia c’è una forza spirituale, qualcuno la chiamerebbe magica, tu come la definiresti?
La forza spirituale che anima il romanzo è sicuramente magica, nel senso che viene da un altrove, un mondo abitato da entità diverse da noi che respiriamo. Se dovessi definirla la chiamerei forza vitale, una corrente continua di comunicazione tra le varie dimensioni, ogni tanto qualcuno la attraversa ed è in grado di interagire con altre dimensioni. Ma bisogna stare molto attenti, perché, come dice Stephen King “non si prende sottogamba l’infinito”.
Tra i tanti romanzi e racconti che hai recensito ce n’è qualcuno che somiglia al tuo?
Onestamente ci sono parecchi romanzi ai quali vorrei che Stati di desiderio assomigliasse, ma devo dire che, pur tenendo presente l’ambientazione italiana e la scrittura americana, la mia storia somiglia solo a sé stessa, con tutti i suoi difetti, e spero con delle cose belle che vorrei fossero apprezzate. Perché ovviamente tutti noi scrittori vogliamo lettori che ci amino e che divorino le nostre parole.