Il dialogo statico

Un "dialogo statico" è un dialogo appunto che non avanza, non fa avanzare la trama, e al contempo non presenta informazioni così necessarie alla nostra storia.

Come sappiamo il dialogo svolge diverse funzioni in una storia: deve presentare informazioni necessarie; deve caratterizzare i personaggi; deve introdurre conflitto, deve far avanzare la trama: un “dialogo statico” è un dialogo appunto che non avanza, non fa avanzare la trama, e al contempo non presenta informazioni così necessarie alla nostra storia, ai nostri personaggi, all’approfondimento del nostro tema che ci inducano a tenerlo piuttosto che a sacrificarlo. Alcuni scrittori – Gloria Kempton in un suo saggio sul Dialogo – Dialogue –  per esempio consigliano, in fase di editing, di tagliare tutte le battute che non aiutano lo sviluppo della storia: una posizione forse troppo drastica, draconiana, ma insomma questa dovrebbe essere la direzione io credo. Ovviamente siamo sempre noi che decidiamo cosa è davvero necessario al nostro romanzo, e cosa no, tuttavia è bene porsi sempre la domanda: ma questa cosa che il tipo sta dicendo lui la direbbe davvero? Sta parlando con il suo registro abituale, quello che dice risponde al suo motive di personaggio all’interno della nostra storia (al suo scopo, al suo obbiettivo, al suo desiderio)?, è davvero indispensabile al mio romanzo, a lui come personaggio, alla mia storia, la fa avanzare?… oppure è statico, stagnante, dice cose superflue o didascaliche che posso riprendere meglio altrove, e insomma posso eliminarlo senza grandi patemi d’animo? Nel dubbio, un dialogo statico è sempre meglio tagliarlo che tenerlo, così la vedo io!

La scrittrice dà un altro consiglio utile: far parlare i personaggi del proprio motive (del proprio obbiettivo/desiderio di personaggio) ogni volta che possono. Essendo il loro scopo, lo avranno sempre in mente e avranno voglia di parlarne con qualcuno… ragionate sul vostro personaggio, dunque, sul suo motive trainante all’interno della vostra narrazione (per esempio, che so, l’edonismo, l’amore per qualcuno, o la fannullaggine oblomoviana, la carriera, l’autodistruzione, ecc. ogni personaggio ha il suo obiettivo – positivo o negativo, – nella nostra ipotetica narrazione…) e fatelo tornare, quel motive – nei suoi dialoghi, come un leitmotiv musicale, per l’appunto, come motivo ricorrente…

Come esercizio vi suggerisco di rileggere tutti i dialoghi del vostro romanzo, del vostro racconto, alla luce di queste osservazioni. E tagliare le battute superflue. Alla prossima!

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Andrea Carraro

Andrea Carraro, scrittore, nasce a Roma. Se avesse ricevuto un euro ogni volta che sui media hanno usato il termine “il branco” per parlare di uno stupro di gruppo, citando il titolo del suo romanzo più noto, oggi sarebbe ricco. Invece è “solo” uno scrittore tra i più bravi. Romanziere, autore di racconti e di poesie, nasce a Roma nel 1959. Ha pubblicato i romanzi: A denti stretti (Gremese, 1990), Il branco (Theoria, 1994), diventato un film di Marco Risi, L’erba cattiva (Giunti, 1996), La ragione del più forte (Feltrinelli, 1999), Non c’è più tempo (Rizzoli, 2002) (Premio Mondello), Il sorcio (Gaffi, 2007), Come fratelli (Melville, 2013), Sacrificio (Castelvecchi, 2017) e le poesie narrative Questioni private (Marco Saya, 2013). Ha pubblicato anche due raccolte di racconti, confluite nel volume Tutti i racconti (Melville, 2017). I suoi giudizi critici, sensibili ma affilati quando serve, lo rendono un lettore del cui parere fidarsi con tranquillità.

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