Il superfluo

In narrativa cosa si dà per scontato? Cosa si può omettere?

Mi chiedevo oggi, cari amici, facendomi una doccia calda e rigenerante, subito dopo aver espletato le quotidiane funzioni fisiologiche, che cosa in narrativa si possa dare per scontato, che cosa si possa omettere? Pensate che domande che ci facciamo noi scrittori fin dal primo mattino! Domande che fuoriescono dall’ampolla della doccia diresti, insieme agli spruzzi di acqua calda, con una voce strana sdrucciola gorgogliante, la voce di qualcuno che conosco, ma ancora imprecisa, uno che mi fa sempre un sacco di domande… Beh, domanda insidiosa, questa, amico mio, – perché molto, molto soggettiva. Ognuno ha la sua idea su cosa sia davvero necessario in un romanzo, e cosa sia invece accessorio, superfluo. Dipende molto dall’indole dello scrittore, gli direi, e anche dal suo stile di scrittura.

Comunque, provo a dirti la mia, aggiungerei, continuando a sciacquarmi e insaponarmi (adoro questo momento della giornata e posso dilatarlo anche di parecchio certe volte). Io sono per la sintesi, caro Luigi, cari amici, per uno stile asciutto, essenziale, ditelo come preferite. Attenzione, non uno stile povero nel vocabolario o sciatto nella sintassi, ma uno stile privo di bellurie, decorazioni, uno stile che lavori per omissione, per tagli, per ellissi, piuttosto che per accumulo (di dettagli, di parole…). Per esempio se stiamo scrivendo una sequenza di dialogo, sono per omettere, o quasi, le battute “di servizio”, per non dilatare troppo i convenevoli, Buongiorno, buonasera, come va?, va bene, i figlioli ecc., darli per scontati, accennarli soltanto, perché un romanzo non è una sceneggiatura, che è obbligata per sua natura a non tralasciare nulla, sono per non sovraccaricare le descrizioni di troppi dettagli naturalistici, di omettere soprattutto quelli che possono essere facilmente immaginati dal lettore… Sono per ricordarsi che c’è un lettore in carne e ossa a leggerci, un uomo (o una donna) dotato di gusto e di raziocinio. Sono insomma, per una scrittura moderna, sintetica, semplice (ma non semplificata), al passo coi tempi, competitiva con le altre forme comunicative della contemporaneità.

Non mi resta che darvi il solito esercizio di scrittura settimanale: leggete ad alta voce il vostro ultimo racconto – o fatelo leggere dalla funzione leggi ad alta voce di Word (usatela qualche volta, ve lo consiglio!), e tagliate tutto ciò che vi sembra superfluo o accessorio. Se non trovate nulla da tagliare, complimentatevi con voi stessi e con la vostra capacità di sintesi. Alla prossima!

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Andrea Carraro

Andrea Carraro, scrittore, nasce a Roma. Se avesse ricevuto un euro ogni volta che sui media hanno usato il termine “il branco” per parlare di uno stupro di gruppo, citando il titolo del suo romanzo più noto, oggi sarebbe ricco. Invece è “solo” uno scrittore tra i più bravi. Romanziere, autore di racconti e di poesie, nasce a Roma nel 1959. Ha pubblicato i romanzi: A denti stretti (Gremese, 1990), Il branco (Theoria, 1994), diventato un film di Marco Risi, L’erba cattiva (Giunti, 1996), La ragione del più forte (Feltrinelli, 1999), Non c’è più tempo (Rizzoli, 2002) (Premio Mondello), Il sorcio (Gaffi, 2007), Come fratelli (Melville, 2013), Sacrificio (Castelvecchi, 2017) e le poesie narrative Questioni private (Marco Saya, 2013). Ha pubblicato anche due raccolte di racconti, confluite nel volume Tutti i racconti (Melville, 2017). I suoi giudizi critici, sensibili ma affilati quando serve, lo rendono un lettore del cui parere fidarsi con tranquillità.

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