Il flusso di coscienza

Un gran pastone di sogni ricordi impressioni che sembra un flusso spontaneo indifferenziato involontario e che invece è studiatissimo calibratissimo

Abbiamo un flusso di coscienza o monologo interiore quando riproduciamo i pensieri del personaggio in un flusso ininterrotto di solito senza punteggiatura. Il monologo interiore rende ciò che viene “pensato” come ciò che viene “parlato”. Però i pensieri sono più veloci delle parole, e anche più disordinati, tumultuosi, caotici. Questo caos Joyce ha cercato di renderlo eliminando la punteggiatura, ricorrendo alle associazioni – di immagini, parole – a temi ed espressioni ricorrenti, a simboli, a neologismi ecc. il livello di complessità varia da scrittore a scrittore, da romanzo a romanzo, siamo noi in definitiva, come sempre, che decidiamo il grado di complessità e che ogni volta ci reinventiamo le regole del monologo interiore. Il monologo interiore più celebre che sia mai stato scritto, e anche il primo che sia stato scritto, è il cosiddetto monologo di Molly Bloom, la moglie del protagonista dell’Ulisse, monumentale (più di mille pagine) e arduo romanzo di Joyce, allora, provate a immaginarvi la scena: è la fine della giornata, e dal suo letto Molly ricorda: i suoi amanti, la sua Gibilterra natia, suo marito Leopold. Ma ecco uno stralcio del monologo:

“Dio del cielo non c’è niente come la natura le montagne selvagge poi il mare e le onde galoppanti poi la bella campagna con campi d’avena e di grano e ogni specie di cose e tutti quei begli animali in giro ti farebbe bene al cuore veder fiumi laghi e fiori ogni specie di forme e odori e colori che spuntano anche dai fossi primule e violette”.

È una donna carnale Molly, una soprano un po’ grassottella che va a letto col suo manager e che non capisce di grecismi e di raffinatezze intellettuali. Il suo essere carne e donna – è stato scritto – macchia la pagina al punto che durante il suo pensiero che scorre le arrivano le mestruazioni:

“Aspetta Gesù aspetta ci siamo di nuovo non ci manca altro per forza con tutto quel razzolare e sgrumare e grufolare dentro di me ora cosa devo fare venerdì sabato domenica roba da sputar sangue ammenoché non ci trovi gusto qualcuno ce ne trova Dio lo sa che c’è sempre qualcosa che non va in noi 5 giorni ogni 3 o 4 settimane la solita svendita mensile… Oh e il mare il mare qualche volta cremisi come il fuoco e gli splendidi tramonti e i fichi nei giardini dell’Alameda sì e tutte quelle stradine curiose e le case rosa e azzurre e gialle e i roseti e i gelsomini e i gerani e i cactus e Gibilterra da ragazza dov’ero un Fiore di montagna sì quando mi misi la rosa nei capelli come facevano le ragazze andaluse o ne porterò una rossa sì e come mi baciò sotto il muro moresco e io pensavo beh lui ne vale un altro e poi gli chiesi con gli occhi di chiedere ancora sì e allora mi chiese se io volevo sì dire di sì mio fior di montagna e per prima cosa gli misi le braccia intorno sì e me lo tirai addosso in modo che si potesse sentire il petto tutto profumato sì e il suo cuore batteva come impazzito e sì dissi sì voglio Sì.”

Vedete, i pensieri si accavallano, si mescolano, anche scandalosamente (in certi momenti è il suo inconscio che lavora, lei non è colpevole, per così dire, l’inconscio è brutale sfacciato e mai bacchettone, bigotto…) in un gran pastone di sogni ricordi impressioni che sembra un flusso spontaneo indifferenziato involontario e che invece è studiatissimo calibratissimo nella penna del grande scrittore irlandese.

Quindi abbiamo detto che il flusso di coscienza nasce con Joyce che ne fa uso nel suo grande romanzo l’Ulisse – siamo nei primi anni Venti del Novecento. E ne fanno uso altri grandi della sua epoca: Faulkner in America, Virginia Woolf in Inghilterra, Svevo, ecc. poi questo modello narrativo-espressivo è dilagato e si è un po’ snaturato, semplificato forse, rispetto agli originali. Sì perché non è affatto facile questo stile di scrittura, sapete, anche se può apparire tale all’inizio per il fatto che non devi badare alla punteggiatura e che puoi improvvisare e dare briglia sciolta all’immaginazione. Io ci ho provato a usarlo, in diverse mie cose, anche nel Branco, ma non sono affatto sicuro di esserci riuscito al meglio. Uno ci prova, nell’intento di approfondire il livello psicologico del nostro eroe, per conoscerlo meglio, anche nel suo subcosciente. Ed è utile che ci proviate anche voi.

Quindi, cari amici, oggi come esercizio proviamo a scrivere un monologo interiore di nostro pugno. Tenendo conto di qualche consiglio:

Scegliete un luogo giusto, cioè adatto, cioè verosimile, dove far avvenire il vostro monologo. Cioè un luogo, una situazione dove possa accadere. Per esempio, un treno dove sul finestrino scorre il paesaggio che magari ci evoca un luogo, una situazione del passato; per Molly, Joyce scelse opportunamente un letto, e il suo dormiveglia, perfetti per far partire il flusso dei pensieri. Ma anche mentre il personaggio sta facendo l’amore, o si sta masturbando, o fa pensieri deliranti, caotici per una sbronza, per un’anestesia, può scaturire un flusso di coscienza. Scegliete voi un luogo e una situazione che favorisca questo tipo di stile introspettivo.

Poi bisogna fare attenzione ai motivi ricorrenti attorno ai quali si avvita di solito il monologo interiore. Motivi che possono essere immagini emozioni ossessioni ricordi ecc. il monologo interiore rimbalza da un pensiero all’altro, ma ritorna sempre allo stesso punto, allo stesso motivo, agli stessi motivi, ossessivamente, proprio come succede nei sogni. Usiamo dunque alcuni motivi ricorrenti e nel nostro flusso vediamo di tornarci, di non perderli per strada. Facciamo cioè che il monologo nel suo svolgersi si appoggi su qualche motivo ricorrente che può essere anche un senso di colpa, una idiosincrasia (una cosa che non ci piace, ci disgusta…), una passione, che so l’amore per un certo cane, l’odio per una certa persona, ecc. il ricordo di una certa estate, di una certa spiaggia, di una certa festa, di un certo momento che abbiamo vissuto…

Teniamo presente che più ci si allontana dalla lucidità, dalla razionalità, più si sprofonda in una situazione pre-linguistica e pre-logica. Se per esempio proviamo a imbastire il flusso di coscienza di un personaggio in coma, diventerà un flusso di incoscienza. Cioè la rappresentazione diventerà ancora più frammentata e criptica. Tutto apparirà più caotico, irrelato, assurdo.

Va bene, di monologo interiore ne sapete abbastanza ormai per avventurarvi nella prova. Salut!

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Andrea Carraro

Andrea Carraro, scrittore, nasce a Roma. Se avesse ricevuto un euro ogni volta che sui media hanno usato il termine “il branco” per parlare di uno stupro di gruppo, citando il titolo del suo romanzo più noto, oggi sarebbe ricco. Invece è “solo” uno scrittore tra i più bravi. Romanziere, autore di racconti e di poesie, nasce a Roma nel 1959. Ha pubblicato i romanzi: A denti stretti (Gremese, 1990), Il branco (Theoria, 1994), diventato un film di Marco Risi, L’erba cattiva (Giunti, 1996), La ragione del più forte (Feltrinelli, 1999), Non c’è più tempo (Rizzoli, 2002) (Premio Mondello), Il sorcio (Gaffi, 2007), Come fratelli (Melville, 2013), Sacrificio (Castelvecchi, 2017) e le poesie narrative Questioni private (Marco Saya, 2013). Ha pubblicato anche due raccolte di racconti, confluite nel volume Tutti i racconti (Melville, 2017). I suoi giudizi critici, sensibili ma affilati quando serve, lo rendono un lettore del cui parere fidarsi con tranquillità.

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