Il gelato artigianale è una matematica imperfetta.
Pitagora quindi, con buone probabilità, ne avrebbe disdegnato la produzione a favore di una calcolata, perfetta, lineare, scelta industriale.
Per il buon matematico i numeri sono l’essenza di tutte le cose. È seduto davanti a me, stufo del mio appassionato sorbetto algebrico, annoiato, perso su un iPad a sbeffeggiare le digressioni filosofiche ed emotive che tentiamo di estrapolare ingurgitando cibo. Analisi sensoriale, degustazione, aromi, ricordi, sentori.
– O mi date un’analisi matematica di quanto dite, del buono, del cattivo, di tutto questo parlare di gusto, oppure ogni parola avrà il peso di una piuma senza valore alcuno! – Lo sento gridare.
– Ma allora, – chiedo – anche un prodotto industriale, pur se matematicamente bilanciato e svuotato dell’anima appassionata del gelatiere, potrebbe essere oggetto delle critiche del vostro genio matematico, qualora si muovessero critiche gastronomiche su di esso.
– Certo, non è mica il prodotto il problema, ma l’uomo! – Sussurra.
E ha ragione. I numeri dell’industria mancano di quell’imperfezione che il gelatiere artigiano chiama passione o creatività, eppure non sono più esplicativi del gelato artigianale. I numeri di cui Pitagora andrebbe all’avventura sarebbero ancor più esaustivi, la matematica del gusto uniformata per ogni palato. Una formula riassuntiva di ciò che è matematicamente buono o cattivo.
Pitagora si alza dalla panchina e si allontana, sa bene una formula del gusto sia un paradosso. È questo il bello del cibo, l’inesistenza di un giudizio definitivo e vero a tutti gli effetti. Anche se nel dubbio, io continuo a lavorare sul mio sorbetto algebrico.