Evitate di cominciare a scrivere il vostro racconto o romanzo se non avete ancora le idee sufficientemente chiare sulla storia che avete in mente e sui personaggi, soprattutto sul protagonista. Parlo di storia e personaggi, come vedete, cose concrete, tangibili, non del significato eventuale della storia, o degli eventualissimi “messaggi” (chi l’ha detto che debbano esserci!), altrimenti rischiate di perdervi nell’astrazione. Ricordatevi che dietro un grande scrittore, un grande romanziere, c’è sempre un grande artigiano. Non è che dobbiamo conoscere subito tutta la trama e gli snodi narrativi e i caratteri precisi dei personaggi in gioco, questo no, ma evitiamo le “false partenze”, o meglio riconosciamole al volo come tali senza portarle troppo avanti nel tempo. Evitiamo di indugiare sulle false partenze.
L’economia del tempo è un’ossessione di molti artisti, di molti scrittori, grandi e meno grandi. Io l’ho avuta tutta la vita, risparmiare tempo, arrivare prima al traguardo, ch’è dapprima quello di diventare scrittori a tutti gli effetti, di pubblicare il proprio libro, il proprio romanzo, e poi, la chiusura dell’ultimo libro che stiamo scrivendo. C’è sempre un motivo per risparmiare tempo, ma il principale è che il tempo a disposizione di uno scrittore non è infinito, che la vita è breve, ecc. ma qui ci stiamo allontanando dallo sconsiglio odierno, ch’è ancora di ecologia letteraria. Possiamo riassumerlo così: non cominciamo a scrivere se non è ancora il momento, se non abbiamo fatto chiarezza con noi stessi su cosa davvero vogliamo. Provo a spiegarmi con un esempio personale. C’è stato un periodo della mia vita che mi ero fissato di voler raccontare a tutti i costi una storia assurda, in cui un tizio a un certo punto della propria vita di impiegato, tanto ne aveva le palle piene di tutto e di tutti, cominciava senza motivo a far fuori la gente che detestava, attingendo dalle diverse categorie sociali: il manager rampante, il commerciante ecc. Era un’idea puerile, troppo facile nel suo simbolismo, volontaristica, irrealistica, da scartare senza remore e passare ad altro. Così feci, ma prima di arrivarci feci passare dei mesi, durante i quali assillavo, fra gli altri, il mio maestro – per sapere la sua opinione su quell’aborto che era venuto fuori. Lui si faceva negare, poveraccio, tergiversava. Alla fine, mi disse: “Ma perché l’hai scritto, Andrea, questo libro? Che cosa volevi raccontare precisamente, quale sentimento?” Io risposi con impeto ingenuo, che oggi mi fa vergognare: “La stupidità…”, e lui: “Ma ti sembra così importante? Ma non ci sono cose più urgenti?” Quella risposta mi spiazzò. Ci ruminai a lungo sopra. Non mi aveva offeso, non mi aveva detto, Andrea il romanzo fa schifo, scrivi un’altra cosa. Questo lui non lo faceva mai. Invece, maieuticamente, voleva che fossi io ad arrivarci, attraverso dei ragionamenti che fossero utili a riconoscere me stesso, la mia scrittura… Beh, amici, alla prossima. Godetevi le vacanze, dovunque siate. E se proprio volete un esercizio da svolgere, fate una cosa, scrivete un racconto di 6000 caratteri sul Giorno più brutto della vostra vita. Però se non vi viene lasciate perdere, bye.