Mostra, non dire!

"Mostrare drammatizza una scena in un racconto, facendo dimenticare al lettore che sta leggendo, aiutandolo a scoprire i personaggi…"

Ancora sulla caratterizzazione del personaggio, – vorrei ragionare un po’ con voi oggi, sul famoso precetto/consiglio del Show, don’t tell!, di cui forse avrete sentito parlare, ovvero mostra, non dire!, rappresenta, non spiegare! che serve a scoraggiare l’uso eccessivo di spiegazioni e commenti a svantaggio dell’azione e dei dialoghi. Un imperativo che conviene ricordare sempre, ma usandolo con oculatezza e misura. Vediamo come.

Il primo a usarlo è stato il grande Henry James, nella prefazione all’edizione newyorkese di Daisy Miller, un suo bellissimo racconto lungo che potete trovare in molte edizioni sul mercato, sia singolarmente che assieme ad altri suoi racconti: “Nell’applicare la regola “mostra, non raccontare”, lo scrittore fa molto più che raccontare al lettore qualcosa su un personaggio; egli svela il personaggio attraverso ciò che questi dice e fa. Il mostrare può essere ottenuto in diversi modi: – continua James, – scrivendo scene; descrivendo le azioni dei personaggi; rivelando il personaggio attraverso il dialogo; utilizzando i cinque sensi quando ciò è possibile… Mostrare drammatizza una scena in un racconto, facendo dimenticare al lettore che sta leggendo, aiutandolo a scoprire i personaggi… (…)

Ed ecco come sintetizza in un esempio che più chiaro non potrebbe essere:

“Anziché dire:

Miss Parker era una ficcanaso. Spettegolava sui suoi vicini

lo scrittore potrebbe mostrare:

Abbassando le tendine solo un po’, Miss Parker poté appena sbirciare attraverso la finestra e vedere il Ford Explorer parcheggiato sulla strada. Occhieggiò per avere una vista migliore dell’uomo che, alto e muscoloso, stava uscendo dall’automobile incamminandosi verso l’ingresso di Miss Jones. L’uomo suonò il campanello. Quando Miss Jones aprì la porta e salutò lo sconosciuto con un abbraccio, Miss Parker spalancò la bocca e corse verso il telefono.

“Charlotte, non mi crederai quando ti dirò quello che ho appena visto!” Miss Parker sbirciò ancora fuori dalla finestra per vedere se l’uomo era ancora nella casa.

Ma lo show, don’t tell!, non va preso alla lettera e applicato sempre. Un romanzo che si reggesse solo sul mostrare si rivelerebbe molto più lungo perché per rappresentare servono più parole come si evince anche dall’esempio dello scrittore americano. Quindi, come sempre, dobbiamo mediare, addivenire a un compromesso fra l’esigenza del mostrare e quella del raccontare, e il dosaggio lo decide sempre l’autore, attraverso la sua sensibilità, il suo stile, il suo gusto. Io mi regolo così, seguendo uno stile che possiamo dire in gradi linee, realistico: i passaggi più significativi della storia li drammatizzo e li metto in scena, mentre quel che accade tra le scene lo racconto io in forma indiretta, per far progredire la vicenda verso la fine che ho in mente e lasciare spazio all’immaginazione del lettore nel compito di completare il quadro… perché ogni romanzo si compie fino in fondo solo con la lettura dello stesso da parte del lettore. E il lettore di un romanzo, non vuole leggere una sceneggiatura cinematografica, non è mica un produttore, cioè non vuole una scrittura solo “di servizio”, solo funzionale a qualcos’altro – al film – ma vuole anche entrare in comunicazione, in sintonia, in confidenza con lo scrittore, con il mondo dello scrittore, con il suo stile, con le sue parole. Quindi insieme al don’t tell, ricordiamo sempre anche il famoso “patto con il lettore” di cui tante volte abbiamo parlato, che di solito si instaura nelle prime pagine, nell’incipit, e cioè il lettore ti segue solo se si fida di te, se riesci a catturarlo, a persuaderlo, con la tua scrittura ad andare avanti. Non dovete mai dimenticarvi del lettore, delle sue esigenze. Poi c’è anche chi esagera nel verso opposto, nella confidenza eccessiva con il lettore, guardiamoci anche da questa tendenza un po’ ruffiana e kitsch di corteggiare troppo il lettore, lusingarlo, sedurlo con ammiccamenti, frasi a effetto, poeticismi, sentimentalismi, ruffianerie varie.

Un ultimo consiglio: i personaggi dei romanzi, soprattutto se sono i protagonisti della storia, debbono avere un punto debole, un tallone d’Achille, che favorisca l’identificazione di chi legge. Ma attenzione, non un tallone d’Achille paraculo, ruffiano, da “maledetto figlio di puttana, col cuore d’oro”, ma un punto debole vero, qualcosa che lo fa soffrire, il nostro eroe, lo umilia, lo degrada… solo così scatta davvero l’identificazione in un lettore avvertito.

Bye, amici, alla prossima!

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Andrea Carraro

Andrea Carraro, scrittore, nasce a Roma. Se avesse ricevuto un euro ogni volta che sui media hanno usato il termine “il branco” per parlare di uno stupro di gruppo, citando il titolo del suo romanzo più noto, oggi sarebbe ricco. Invece è “solo” uno scrittore tra i più bravi. Romanziere, autore di racconti e di poesie, nasce a Roma nel 1959. Ha pubblicato i romanzi: A denti stretti (Gremese, 1990), Il branco (Theoria, 1994), diventato un film di Marco Risi, L’erba cattiva (Giunti, 1996), La ragione del più forte (Feltrinelli, 1999), Non c’è più tempo (Rizzoli, 2002) (Premio Mondello), Il sorcio (Gaffi, 2007), Come fratelli (Melville, 2013), Sacrificio (Castelvecchi, 2017) e le poesie narrative Questioni private (Marco Saya, 2013). Ha pubblicato anche due raccolte di racconti, confluite nel volume Tutti i racconti (Melville, 2017). I suoi giudizi critici, sensibili ma affilati quando serve, lo rendono un lettore del cui parere fidarsi con tranquillità.

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