Una cura per la vanità

Quando il lettore segue la storia che viene narrata in un libro, l'autore scompare per lasciare il posto a qualcun altro: i personaggi

Vanità di vanità. Viviamo in un’epoca pervasa di vanità, ma per quanto riguarda la scrittura si può trovare forse una cura, da applicare subito a tutte le opere pubblicate e a tutti i post sui social.

Intanto, vediamo un po’… Lo scrittore è vanitoso? Qualcuno sì, ma lo sarebbe anche se vendesse abitazioni, si darebbe arie in ogni caso, direbbe magari che non vende case ma solide realtà.

Comunque tra tutti i tipi di scrittore che esistono, tutti (o quasi) lodevoli, tutti (o quasi) onesti, tutti (o quasi) necessari, un onesto narratore è costretto dalla narrazione stessa a sparire dalla pagina che sta scrivendo. Se il suo personaggio si suicida con l’arsenico, per esempio, lui evita di dire che lo farebbe buttandosi invece sotto un treno. E se commenta quello che succede in prima persona, è il personaggio che parla, non lui. Se invece lo scrittore invade la pagina con le sue considerazioni, allora la narrazione prende altre vie, si seguono solo i pensieri di chi scrive. Magari divertono, affascinano, interessano (chi più e chi meno), ma smettono di raccontare quello che capita a un protagonista e agli altri personaggi.

Chi narra una storia può essere noioso, ripetitivo, meccanico, inverosimile, poco credibile, logorroico, e via dicendo, ma raramente mostra la sua vanità dentro il testo che sta scrivendo. Quando lo fa, il lettore se ne accorge e non lo prende più sul serio.

Immaginate un narratore che dica: – C’era una volta e c’ero anch’io, me lo ricordo benissimo, di cosa stiamo parlando? Di quella volta che ho incontrato Cappuccetto Rosso nel bosco! Io le dissi: Amica mia, segui i consigli di tua mamma e attenta al lupo, che poi la nonna (a proposito, io questa nonna l’ho incontrata a Velletri quando era giovane, abbiamo avuto una storia, mi pare che fossimo nel 1996, non era ancora una nonna, sapete?)… C’è probabilmente chi scrive così, ma poi non si stupisca se il lettore chiude il libro e va su Facebook, almeno sui social si può vanitosamente commentare la vanità altrui.

La vanità di un narratore onesto è quasi sempre fuori dalla pagina. È extra testo. Quando sceglie la copertina uno scrittore può essere davvero vanitoso, magari ci mette una sua fotografia di dieci anni prima. Quando si trova sui social, che sono la vera contemporanea fiera delle vanità, poi, lo è senza dubbio. Parla della sua ultima presentazione fingendo di ringraziare tutti quelli che sono intervenuti, solo per mostrare la foto della fila di gente che vuole avere una firma sulla copia appena acquistata. Si schernisce per l’importante premio vinto, pubblica un post con il video di se stesso al tramonto mentre riflette sulla vacuità dell’esistenza.

Ma quando il lettore segue la storia che viene narrata in un libro, l’autore scompare per lasciare il posto a qualcun altro: i personaggi, unici veri protagonisti di ogni libro di narrativa.

Quindi io credo che la migliore cura per la vanità nella scrittura sarebbe quella di raccontare sempre la storia di qualche personaggio, non di se stessi, senza tentare di sembrare più belli o più intelligenti ma solo di farla arrivare alla mente di chi legge. In questo modo, l’unica vanità sarebbe quella – per chi ci riesce – di vedere il suo nome in copertina, non spalmato dappertutto come la cacca nel pannolino di un neonato.

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Paolo Restuccia

Scrittore e regista. Cura la regia della trasmissione Il Ruggito del Coniglio su Rai Radio2. Ha pubblicato i romanzi La strategia del tango (Gaffi), Io sono Kurt (Fazi), Il colore del tuo sangue (Arkadia) e Il sorriso di chi ha vinto (Arkadia). Ha insegnato nel corso di Scrittura Generale dell’università La Sapienza Università di Roma e insegna Scrittura e Radio all’Università Pontificia Salesiana. È stato co-fondatore e direttore della rivista Omero. Ha tradotto i manuali Story e Dialoghi di Robert McKee e Guida di Snoopy alla vita dello scrittore di C. Barnaby, M. Schulz.

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