Ero una volta scrittore ma ho dovuto smettere per la mente indebolita. Non connetto le idee, non seguo… Facevo qualche mestiere, per esempio temprare i ferri, tempravo una falce, un’accetta. Si faceva per vivere. Facevo il suonatore di triangolo nella Marina argentina. Sono stato portiere in un circolo a Buenos Aires. Facevo tanti mestieri. Sono stato ad ammucchiare i terrapieni delle ferrovie in Argentina. Si dorme fuori nelle tende, è un lavoro leggero ma monotono. Ho fatto il carbonaio nei bastimenti mercantili, il fuochista. Sono stato ad Odessa, vendevo stelle filanti nelle fiere. Varie lingue le conoscevo bene. Alcuni mesi sono stato in prigione, per rissa, in Svizzera, a Basilea. In Italia, poi, feci un mese di prigione a Parma, nel 1902 o 1903, poi il manicomio di Imola, dal professor Brugia. Vendevo i Canti Orfici da Paszkowski e alle Giubbe Rosse a Firenze, o al Caffé di San Pietro a Bologna. Se io vendevo quel libro è perché ero povero. Un po’ tutti mi irritavano. I futuristi li trovavo vuoti, per esempio. Avevo della nevrastenia forte. Sento sempre delle voci, sono telefonista, sono elettrico, sono Edison.
Sono abituato a questa monotonia, non mi fa più impressione. Ora non desidero cambiare, né ricevere visite, né uscire da qui. Ho dei giorni di completa amnesia, ho dei giorni in cui non so dove mi trovo; poi riacquisto la memoria. Oggi mi ricordo benissimo di tutto. Mi chiamo Dino Campana, e ho quarantacinque anni.
Da Carlo Pariani, Vita non romanzata di Dino Campana, a cura di Cosimo Ortesta, Ed. Guanda.