Quando arrivò, con colpevole ritardo, la nomina a senatore di Trilussa, il Poeta era già molto malato e in povertà. Rosa Tomei, la “vestale” che si prendeva cura di lui, si preoccupò di trovare un posto alla preziosa pergamena del laticlavio tra gli oggetti che affollavano il salone atelier preso in affitto nel Villino Corrodi, dietro Piazza del Popolo: quadri, caricature, fotografie con Petrolini, Fregoli, Mascagni e D’Annunzio, bastoni da passeggio, strumenti musicali, ritratti di Puccini con dedica, marionette, poltrone, i putti dorati regalati da Eduardo, orologi da taschino, animali impagliati, panama e feltri, e libri, una quantità impressionante di libri impilati sul pavimento, i ricordi di una vita straordinaria stipati in quella che sarà la sua ultima casa. “Rosa, semo ricchi!” sussurrò Trilussa, pensando al sostanzioso vitalizio che avrebbe messo fine all’indigenza sua, e a quella di Rosa e del gatto Pomponio, unici compagni del Poeta. Morì dopo neanche un mese, il 21 dicembre del 1950, lo stesso giorno di Giuseppe Gioacchino Belli, il Maestro che gli aveva indicato la strada.
Trilussa, pseudonimo di Carlo Alberto Salustri (Roma, 26 ottobre 1871 – Roma, 21 dicembre 1950) ha cominciato a pubblicare poesie nel 1887 e l’ha fatto fino alla morte. Famosa la sua statistica:
da li conti che risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra nelle spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perch’è c’è un antro che ne magna due.