“Ava Anna Ada” di Ali Millar – Traduzione di Martina Testa (Sur)

In un’atmosfera surreale, caotica, brutale, nel tempo sospeso dell’estate, afosa e appiccicosa, turisti e villeggianti attendono un evento annunciato, un’Onda che potrebbe essere una catastrofe suggestiva e bellissima da guardare dall’alto con patatine e popcorn.

Questo romanzo prende a botte il lettore dalla rima all’ultima pagina. Non fa sconti, e l’effetto è talmente straniante che sono stata a chiedermi se esiste qualcosa che sia ancora innocente in questo tempo, dove anche il lutto è un’occasione per mettersi in mostra e ottenere consensi e followers. Le protagoniste hanno tutti nomi palindromi. Anche se poi, forse, per una di loro si tratta di una specie di vezzo.

Anna è una donna bellissima, reduce dal lutto per la figlia, Ada, e il tentativo di non cadere in pezzi per la perdita. Eppure, nella sua disperazione da subito si avverte qualcosa di dissonante. Il suo bisogno di mostrare, di far rilucere la sua professione di content creator, è il potente motore che la anima. Non il desiderio di stare accanto al figlio superstite, Adam, un bambino bellissimo e solitario, con la passione per la natura e l’odio per gli esseri con le ali, comprese farfalle e angeli. Ada, assente, ma presente nei ricordi e nel desiderio pulsante della madre di tenerla viva, è la ragazzina che si è lasciata morire di fame, la pelle sottile e bluastra, il corpo raggrinzito e scheletrico senza più forza neanche per parlare. Nessuno sa davvero perché l’abbia fatto, questo rifiuto categorico al mondo e alla vita, durante l’adolescenza, e neppure il padre, chirurgo famoso, è riuscito a farla alimentare. Il mondo e il tempo in cui vivono è un tempo colloso, un’estate globale e caldissima, in un punto estremo della Scozia, un luogo non identificato che viene semplicemente chiamato Punta, dove la crisi energetica e climatica ha prodotto classificazioni tra le persone, in basso valore e alto valore. Ogni famiglia in casa ha un apparecchio che misura il consumo di acqua e di energia ammessa. In più ogni famiglia ha anche installato un valorimetro, che misura la loro moralità. Se il valore scende sotto le due cifre le famiglie devono essere deportate in un luogo non meglio identificato, ma che nell’immaginario non è diverso da un campo profughi.

Ava è in bilico tra la deportazione e la paura, e per sfuggire a una madre, ex reginetta di bellezza divisa tra ansiolitici e alcool, fa sesso in cambio di denaro. Lei ha una possibilità, negata a molti degli abitanti che vivono sulla Punta: ha il permesso di viaggiare perché il padre è americano, e i soldi che sta mettendo da parte sono la sua possibilità di fuga.

Quando incontra Anna, che la scambia per la figlia perduta appannata dalla follia, tra le due scatta un’alchimia potente, una passione alimentata dai rispettivi segreti, dalle vite che non si raccontano.

La loro alleanza danneggerà Adam, e anche Peter, il padre e marito assente, immerso nel suo bisogno di salvare vite, con il tremolante senso di colpa di non aver salvato l’unica vita che gli interessava davvero.

In quest’atmosfera surreale, caotica, brutale, nel tempo sospeso dell’Estate, afosa e appiccicosa, la Punta è assediata da turisti e villeggianti, in attesa di un evento annunciato, un’Onda che potrebbe essere una catastrofe suggestiva e bellissima da guardare dall’alto con patatine e popcorn.

Chiaramente la natura è abbastanza indisciplinata da percorrere altre vie. E, nel prosieguo della narrazione, vengono svelate le nevrosi e le crudeltà delle protagoniste. Forse Ada si è lasciata morire perché era già sazia del mondo, delle cose che entrano dagli occhi e non dalla bocca. Forse nessun essere umano ha il diritto di distruggere il pianeta, con la sua avidità, il suo bisogno egoistico di comodità, nonostante l’esaurimento delle risorse vitali. Ogni pagina è un precipizio di emozioni contrastanti, di conflitti insanabili. Siamo trascinati dentro uno specchio deformante che altera l’immagine che il mondo ci rimanda. L’immagine è tutto. Se non possiamo scattare foto che ci facciano ottenere consensi, allora forse non servono, non sono davvero accadute. Il ribaltamento, quasi sofistico, tra verità, realtà e apparenza è il filo conduttore tra queste storie che parlano di un’umanità sul ciglio, inconsapevole dell’autodistruzione. Nessuno sembra buono, se non chi non ha mai cominciato a mettersi in mostra sui social, e visto che il mondo occidentale misura il valore di una persona in base alla sua capacità di rendersi personaggio, allora forse la bontà e l’empatia sono state polverizzate.

 

Nessuno di loro, né il bambino, né la ragazza curiosa, né la mamma, né il papà, ha notato le cose che abbiamo visto Noi, mentre i filamenti tra i cespugli si infittivano; Noi l’abbiamo avuta prima che chiunque lo sapesse per certo, la sensazione profonda che laggiù al largo, in alto mare, ci fosse qualcosa che non andava.

Il primo giorno che vidi Anna pioveva; proprio come pioveva l’ultimo giorno. I giorni di mezzo furono giorni al calor bianco.

Un caldo del genere era inquietante, diceva mamma.

Ero appena uscita dal bosco e mentre costeggiavo il margine degli alberi all’improvviso eccola lì, nel giardino di casa a prendere a calci un cane.”

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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