Certi equilibri somigliano a gusci d’uovo, perfettamente levigati, pronti a lasciar colare liquido quando si esercita pressione. E dopo la pressione si iniziano a vedere piccole crepe ramificate che si allargano e che portano alla messa a nudo del cuore sanguinante.
Succede a un gruppo di amici ed ex compagni di Università, a metà dei trent’anni, in cui inevitabilmente si è adulti. Gry, Esben, Karen, Sylvia e Kvaede, nome elettivo di persona trans e non binaria, socializzata al maschile.
L’occasione dell’incontro è l’invito, nel pieno dell’estate, a trascorrere una settimana nella casa di campagna di Esben, scrittore, e Karen, direttrice di una rivista prestigiosa, coppia solida dai tempi dell’Università. Sylvia arriva con la sua compagna Charlie, e Gry porta il marito, Adam, e i loro bambini. Karen e Esben annunciano l’intenzione di sposarsi alla fine della settimana, circondati dagli amici e da pochi parenti che arriveranno sabato mattina. Per ora quello che si prospetta è una gradevole settimana di relax tra sesso, buon cibo, passeggiate nel bosco e nuotate nel laghetto.
La notizia del matrimonio viene accolta con calore da alcuni e con indifferenza da altri. Sylvia però, che ha sempre sentito una forma di legame speciale con Esben, comincia a soffrirne. In breve, come in un dramma di Strindberg, i personaggi mettono in scena le loro aspettative, la loro spocchiosa sicurezza, il vacillare di quella stessa sicurezza. Dry, contrariamente alle sue coetanee, si è realizzata con la maternità ed è andata oltre la fase coppia, per approdare a quello di famiglia, dove ad un affievolimento della passione, subentra il senso di essere una squadra. La campagna di Sylvia, Charlie, ha una progettualità molto decisa: vuole il rifugio sereno di una casa e un futuro condiviso, con dei figli, come le coppie etero. Sylvia, che è bisessuale, non è assolutamente pronta per un futuro privo di colpi di scena, comincia a scalpitare e a discutere se sia meglio una scelta di coppia eticamente non monogama, che Charlie non condivide e non desidera. E poi c’è Kvaede, nome appunto elettivo che significa “mela cotogna” ed è un nome che in danese vuole il genere neutro. Kvaede non sente il bisogno di etichette, sa di non essere un uomo cisessuale, ma non se ne preoccupa, il suo desiderio è la sua bussola.
E quando, nel corso della settimana, le carte vengono messe su piatto, nessuno può sfuggire alla trappola del desiderio, anche quando significa uscire dai canoni dell’eteronormatività.
Una sorta di rimpianto per la vicinanza perduta anima Sylvia, più degli altri, e che, a un certo punto, si lancia a muso duro contro le gabbie della fedeltà e della famiglia, non necessariamente tradizionale.
La libertà di seguire gli impulsi, invece di reprimerli, ci rende necessariamente più liberi, e forse, più felici, senza però che questo non implichi cuori spezzati, piatti in frantumi, necessità di cambiare, cercando di incollare insieme paura e amore. La libertà ha sempre un costo. Karen non è disposta a cedere il suo privilegio di accesso esclusivo al corpo di Esben, Esben è troppo impegnato corpo a corpo con i demoni della depressione materna per accettare l’offerta di una vita meno tracciata e sicura che Sylvia sembra fargli intravedere. Adam è l’emblema di mascolinità ariana e arrogante: bello, alto, biondo, di successo e consapevole al suo ruolo di uomo che lavora e padre non particolarmente attento, moderatamente distante dai figli piccoli. Eppure, anche a lui questa vacanza porterà una serie, non di riflessioni, perché Adam è un uomo d’azione, ma di possibilità impensabili, fino a che non sono accadute.
Occupare un ruolo nella società passa inevitabilmente attraverso la nostra ereditarietà genetica, il nostro genere, o di nascita o elettivo, e soprattutto del nostro orientamento sessuale. Dobbiamo per forza accontentarci, quando non abbiamo più vent’anni, e il nostro orizzonte di possibilità diventa più ristretto, ma più concreto? Dobbiamo per forza scegliere una persona, quando potremmo avere tutte quelle che desideriamo, oppure nessuna, se preferiamo una sincera solitudine, senza il confronto di un corpo levigato e modificato dal tempo che ci chiede attenzioni e compromessi? E anche la possibilità di scegliere, continuamente chi vogliamo amare e come e quanto, non è che ha reso socialmente ed eticamente accettabile una forma parossistica di egoismo avido?
Le risposte che possiamo darci cambiano come cambia la nostra vita, siamo molteplici, e andiamo incontro alle nostre contraddizioni. Come ha detto molto bene Hanif Kureishi “il desiderio mi fa ridere perché ci fa diventare tutti pazzi”. E forse essere pazzi ci salva da un mondo che ci accetta solo se siamo controllabili.
“Lei non sa come trasformare in realtà la Fata Californiana. Le piacerebbe scegliere sé stessa, le piacerebbe anche scegliere: tutto, Esben, Charlie. Il respiro libero, le fedi nunziali, diventare un corso d’acqua ramificato, prendere sul serio la spaccatura che vive nel suo nucleo. Lei ha sempre avuto bisogno di ribellione, di libertà, ma non è mai stata risoluta, non ha nessun senso della direzione, al suo posto: un surplus di direzioni.
Non posso solo amarli entrambi? Sono disposta a condividere. Non potrebbero concepire anche loro l’idea della condivisione?
Lei è creata innanzitutto per abitare nelle stanze di una torre, una Rapunzel dissoluta che fa calare la treccia per invitare tanti principi e principesse. Esben è un romanzo realista, Charlie e tutti quanti sono un romanzo realista, mentre lei è un fantasy. Perché dev’essere sempre lei ad adeguarsi alle mediocri aspettative degli altri sulla vita?”